domenica 26 febbraio 2012

Parlare di handicap e mantenere l'equilibrio?

Venerdì mi è successa una cosa che mi sta dando da pensare e anche se mi imbarazza sempre un po’ scrivere di questioni sociali (?!) ho deciso di provare ad affrontare il disagio di raccontarla.
Come sempre sono salita sul tram verso le otto del mattino.
Quando salgo dalla portiera anteriore per qualche motivo statistico che non mi è ancora chiaro ho molte più probabilità che un passeggero mi ceda il posto.
Però l’altro giorno non si è alzato nessuno. Mi guardo intorno e muovo qualche passo verso il centro della vettura, sorretta da Marchionnolo (s’è appassionato ai maglioncini) che era con me. Allora un signore di una certa età si alza e mi fa perentorio: «Siediti qui!».
Dal momento che lo vedo decisamente barcollante gli chiedo :«Ma è sicuro?»
Annuisce e poi tuona verso la prima fila: «Io che sono disabile cedo il posto a un’altra invalida». A quel punto sfodera dal portafoglio il tesserino di circolazione dei disabili e lo esibisce indignato sotto il naso di Marchionnolo.
Annuisco un po’ intimidita anche se è una situazione che conosco bene: è capitato ancora anche a me.
E il signore continua a tutto volume: «Quei sedili lì davanti sono riservati per legge alle persone disabili. Se sale il controllore gli dà la multa!» E punta l’indice verso i due “usurpatori”.
Io attendo perplessa. «Adesso» penso «uno dei due si gira e gli fa vedere il suo tesserino di circolazione: magari è ancora più handicappato di lui. Oppure» continuo a supporre «si alzano di scatto, mortificati e viola in faccia e vanno avanti a scusarsi per mezz’ora». Ma non succede niente. L’anziano collega continua a lamentarsi, i passeggeri che occupano i posti riservati lì davanti non battono ciglio. Alla fine scendono tutti.
Io resto sul tram, - devo scendere al capolinea - e rifletto. Non sarei mai capace di tuonare così, al massimo una scoreggina di indignazione.
Una volta una signora sulle scale mobili della metropolitana mi ha apostrofato in modo poco carino perché mi sorreggevo sul corrimano a sinistra, quando secondo il regolamento sarebbe obbligatorio tenere la destra.
Mi rendo perfettamente conto di ostruire il passaggio e quando qualcuno a fretta cerco di farmi da parte per farlo passare.
La donna però continuava a brontolare e io volevo sprofondare. Arrivata in cima però mi scatta qualcosa dentro. Niente a che vedere con un senso di rivalsa o frustrazione, ma decido che tacere no, non è corretto.
Barcollo per mezza stazione dietro la brontolatrice automatica fino a quando la raggiungo.
«Mi scusi» sopraggiungo da dietro e le metto una mano sulla spalla «mi scusi ma sono impossibilitata a usare la mano destra». Mi chiedo ancora per quale miracoloso intervento divino io sia riuscita a parlare in modo così genuinamente tranquillo e sereno.
Sollevo la mia zampa paralitica e le mostro la sua immobilità.
La donna arrossisce mortificata e balbetta: «Non c’era bisogno che venisse fin qui. Sa » prova a giustificarsi «una volta ho detto a dei ragazzi di spostarsi, ma mi hanno risposto male e…»
E allora lei si sente autorizzata a sbottare contro chiunque, senza togliere lo stand by al cervello?
Ma questa volta sto zitta. Mi sembra già abbastanza turbata e preferisco non infierire. E poi non mi chiamo Batman o Superman.
Forse la mia prospettiva è sbagliata ma non ne faccio tanto una questione di educazione verso i disabili quanto una questione di educazione e basta.
Mi lasciano sempre basita le persone che prima ti spintonano per farsi largo e poi si scusano quando si accorgono che sei handicappata. A me seccherebbe essere spintonata anche se di nome facessi Fiona May. Ripeto me il problema quindi non è tanto il rispetto verso la persona minus habens quanto il rispetto verso la persona tout court. Se io presto attenzione a chi mi sta intorno è ovvio che se noto qualcuno ha difficoltà cerco di dargli una mano. Un piccolo aiuto: per chi lo riceve può essere un’ancora di salvezza nell’oceano della metropoli ma non raccontiamoci che per me che lo compio sia un atto di eroismo. Perché se così fosse – ancora una volta – fortunata la terra dove non ci sono eroi ma solo la giusta dose di civiltà .

E dopo cotanto impegno sociale per sdrammatizzare vi invito sghignazzare glamourosamente alle spalle di Kentozzi.

venerdì 17 febbraio 2012

Pelose fantasie


Non ci resta che attaccarci allo strappo del pelo.
Domani appuntamento dall’estetista.
La proprietaria del centro estetico assomiglia alla Madonna di Like a virgin, bionda riccia, una versione stagionata 240 mesi.
Entro nel negozio per fissare l’appuntamento e la ragazza dietro il bancone mi avverte che per sabato non c’è più posto: ha solo un buco alle due ma non è abbastanza neanche per l’inguine. Madonna fa irruzione nella conversazione e mi chiede di lasciargli il numero: “Ti chiamo tra cinque minuti”.
Dopo mezz’ora, sono sotto la doccia, e mi squilla il cell. E’ la ragazza del centro estetico. Mi dà appuntamento per sabato alle 14. Il buco si è dilatato come la vagina di una puerpera.
Pelanda che fortuna!
Mi sono immaginata la scena della cicciona di noiantri che si precipita a casa di una vecchina nei dintorni e la sgozza così su due piedi con quella specie di pelapianta che si usa per i togliere calli. Eliminata la gentile donnina che sabato aveva prenotato la pedicure per le due, Madonna fa una capatina in bagno per lavarsi le mani e ne approfitta per darsi un’aggiustatina ai riccioloni.
Finito di rassettarsi torna alla base operativa e dice alla giovane dipendente di chiamarmi. I peli delle potenziali clienti bisogna tenerseli stretti. Un paio di gambe da cugina del cugino It da depilare come si deve, si sa, valgono circa 25 omini vitruviani (belli glabri, naturalmente!).

sabato 4 febbraio 2012

Cetacei sotto la neve

Sto leggendo La Delfina Bizantina di Busi e devo ammettere che ha iniziato a coinvolgermi solo ben oltre pagina 100. È il terzo romanzo dell’autore: pubblicato dopo il Seminario e Vita Standard.
Mentre nei primi due l’autore sfoderava un mix (secondo me perfetto) di fiction e non fiction qui l’ago della bilancia pende tutto dalla parte della finzione, almeno per il momento... ma forse Busi farà una capatina da qualche parte, come in Vendita Galline Km 2 di cui la Delfina sembra un po’ la brutta copia.

La sensazione è che lo scrittore, volendosi cimentare con un’opera di narrativa pura, paradossalmente si sia sentito autorizzato a trascinare il lettore nel suo universo senza le mediazioni gli incisi e le spiegazioni di cui le altre sue opere abbondano e che rendono magnifiche e intellegibili le sue opere.

Qui anche l’aficionado si trova in difficoltà, o almeno a me è successo così.
Inizio solo ora a capire chi è Anastasia, mentre non capisco ancora un’acca di Teodora e ancor meno della signorina Scontrino.

Magari si chiarirà tutto nelle prossime pagine con un geniale colpo di scena. O forse no.
Nel frattempo io continuo intrepida nella lettura.
Busi val bene uno sbatti.

Da ieri la neve si sta finalmente sciogliendo. Anche se mi causa un sacco di casini Milano in white è proprio bella. Il sindaco Giuliano ha fatto un lavoro discreto anche se non abbastanza da permettere alle giovani invalide di andare al lavoro da sole (…vogliamo togliere un po’ di barriere architettoniche dalle fermate dei mezzi?!). Ma si può sempre fare di meglio. Marco è venuto a prendermi sotto casa ogni mattina sfidando impavido i fiocchi e il gelo, consegnandomi all’azienda e venendo a recuperarmi all’uscita. Grazie!