sabato 21 aprile 2012

Finché c'è spaghetto c'è speranza


Ha smesso di piovere, sembra arrivata la primavera e sto lentamente uscendo dal mio letargo sociale.
Qualche sera fa sono uscita con i miei colleghi  per un hamburger e un’occhiata a Librocielo.
Ieri sera invece sono andata in trasferta dalla mia amica Aga per la leggendaria carbonara del suo moroso e flash party (vestizione pigiama: ore 23).

Sono da poco rientrata a casa e sto lavorando su me stessa per convincermi che non aver concluso la mia unit settimanale di inglese non è poi una tragedia: al massimo se ho voglia la finisco più tardi altrimenti pazienza. Né Monti né la Fornero  - credo – verranno a tirarmi le orecchie per la mia scarsa competitività.

Ieri sera, tra l’altro, mentre i padroni di casa armeggiavano ai fornelli, mi sono finalmente letta Sweet Salgari di Bacilieri. Povero Emilio prosciugato fino all’ultima goccia di inchiostro e sangue dal cinismo dei meccanismi editoriali. In oltre un secolo nell’industria culturale pare non essere cambiato un benemerito.

A volte penso che a settembre, scaduto il contratto d’affitto, dovrei  - maman permettendo – fare fagotto e tornare al paesello. Ma poi chi ce l’ha le librerie sterminate, le cenette in compagnia e la carbonara del Beneventano?

sabato 14 aprile 2012

A volte ritornano

L’altro giorno la mia collega Vegana mi fa: «Quando fai pausa chiamami che ti devo dire una cosa»
«Brutta?»
Che le sia scaduto il seitan?
Che abbia ricevuto un 2 di picche tonante?
Le tocca recensire un libro che è una vera merda?
«No,anzi»
Che abbia trovato per strada un buono regalo della Feltrinelli da 10000 Euro?
Che abbia appena conosciuto l’amore della sua vita?
O forse ha  deciso di piantare tutto per avviare una piantagione di sedano bio?
Ci alziamo e… cosa mi sventaglia sotto il naso, davanti alla macchinetta del caffè?

Qualcuno ricorderà Voragine forever, la mia farraginosa opera prima.
Con aria soddisfatta, me ne sventola una copia sotto il naso.
Mentre la copertina lilla mi osserva, mi accorgo di essere arrossita.
«Ero giovane, era il mio primo blog, è stata una cosa immatura…»

Scopro che, nonostante sia un’opera acerba e scarsamente premeditata, le è pure piaciuto.
Con un tono che mi pare addirittura ammirato, mi rilegge un paio di frasi.
Mi dice che sono riflessioni molto mature, che lei a vent’anni manco se le sognava.
«É perché ero a letto in fase postoperatoria e avevo un sacco di tempo per pensare. Fortunatamente di solito le persone sane hanno di meglio da fare, quando sono a letto».

Però devo riconoscere che un paio di cose che mi ha letto – e che non ricordavo assolutamente di aver scritto – mi hanno colpito perché sono condite da qualche una saporita intuizione.
Sono brillanti, ecco. Illuminano un groviglio scuro di cazzi kappati.
Avrei avuto bisogno di qualcuno che mi aiutasse a lavorarci su, oppure di un pizzico di maturità  umana & stilistica in più.
Ma c’erano un sacco di spunti. E io ero troppo intimidita per svilupparli fino in fondo. Ero spaventata dalle mie lacune.
In fondo ho passato due decenni convinta che anche al maschile l’articolo indeterminativo volesse l’apostrofo. Poi ho scoperto che l’apostrofo è donna.
E una persona con questi baratri grammaticali come fa ad avere l’audacia di dire io scrivo?
Sembrerebbe di guardare un tacchino che fa la ruota.
Però qualcosa mi dice che è arrivato il momento di rimettersi al lavoro e di andare a caccia di quella Volontà che, secondo Balzac, per uno scrittore faceva la differenza.

E a proposito di scrittori e ‘800 questa settimana ho iniziato a leggere La donna nel XVIII secolo dei fratelli Goncourt, ennesimo prestito di mia sorella. Un saggio appassionante come un romanzo accurato, acuto con una prosa ricca e animata dal gusto dell’ aneddotica sugosa e frusciante.
Mi appaga proprio.

sabato 7 aprile 2012

Ho giù la voce

Mi sembra di aver perso il mio stile, quando scrivo e mi dispiace.
Non che fosse uno stile perfetto, anzi ma era il mio timbro sul quale lavorare. Adesso boh, ho sempre pura di essere troppo egocentrica, oppure troppo affettatamente distaccata, troppo spontanea o troppo studiata.
In parallelo nelle mie faccende vis à vis  invece mi sembra di esprimermi in modo sempre più deciso, nitido e chiaro.
Chiedo ai passeggeri in metro se possono scalare di un posto  così posso attaccarmi al sostegno per alzarmi. In ufficio addirittura mi è capitato di  dire – adesso basta – e di mettere i puntini sulle i e di discutere (!) addirittura con i responsabili.

Io che quando 3 anni fa ho iniziato a lavorare il mio motto era testa bassa e lavorare e levarsi senza batter ciglio le frecciatine dei colleghi di dosso in modalità non vedo / non sento / non parlo.
Sono stata cresciuta con il monito Nella vita sopporta e rimuovi e un cambio di atteggiamento è arduo, forse addirittura azzardato.
Ho paura di sembrare polemica.
Mi intimorisce il pensiero di apparire naif.
Ma soprattutto ho il terrore di fare l’handicappata furbetta che approfitta del suo status.
Ne parlavo giusto ieri con un’amica.
Le ho detto: «Io mi faccio un esame di coscienza, rigoroso. Se arrivata in fondo mi sembra che sia giusto parlare allora lo faccio».
Ma parlare equivale ad assolversi o almeno a giustificarsi.
E con l’autoassoluzione a me viene il dubbio di incappare :

a) nella polemica
b) nell’ingenuità utopica & patetica
c) nella scaltrezza degli approfittatori

Cercare di gestire questo passaggio con equilibrio, misura e il minor numero di paranoie possibili è davvero complicato. Mi prosciuga. E l’unico vero, dolce conforto sono le parole di Marco quando la sera mi rimbocca le coperte e mi dice: «Adesso dormi, non pensarci e riposati». Almeno quaggiù qualcuno mi ama.