domenica 28 ottobre 2012

...Alla fine quel che conta è il principio (?)



Curiosamente, proprio mentre rileggevo Vita Standard di un venditore provvisorio di collant, ho avuto una settimana particolarmente difficile che mi ha confermato – una volta di più – che questo è proprio un mondo di Melma.
Mi sono abbarbicata al pensiero di Marco come un bradipo al suo ramo per cercare di mantenere un minimo di lucidità e non catapultarmi giù dal balcone senza parapatata.
Anche se - lo so – la resistenza al contesto italico lomettiano dovrebbe essere una questione etica.
Uno dovrebbe essere in grado di tener duro e tenersi alla larga dal punto di rottura esclusivamente per ragioni  di principio.

Quando la corona sbrilluccicante di buoni propositi cade giù dalla testa dei nobilissimi principi che guidano la nostra vita e la rettitudine vacilla sotto il peso della stanchezza, della disillusione e della mancanza di speranza,  allora si arriva alla conclusione che – se funziona – va bene anche il sentimentalismo, e una si sente legittimato a puntellarsi al pensiero del moroso.
E sulla convinzione che passerà.

Intanto venerdì sera ho letto Furari di Taniguchi e ho scoperto il sorprendente mondo degli haiku. Quelli del poeta Issa, citati nel fumetto mi hanno proprio folgorata(«La Luna piena / prendimela subito!/ Piange il bambino» Come fai a non adorare versi del genere?). Sta’ a vedere che è volta buona che mi appassiono a un po’ di poesia.

sabato 20 ottobre 2012

Affinità e divergenze tra la massa, lo Stato e noi (del superamento della disabilità)



Rileggo Vita Standard di un venditore provvisorio di collant .
Qualcuno diceva che da giovani si legge e da adulti si rilegge, ecco quindi  che nel blog risuona un inequivocabile segnale di adultità.

Ma più che la mia (improbabile), mi sorprende la maturità della prosa busiana, che assomiglia incredibilmente a preveggenza (la prima edizione è del 1985). A me lascia sempre incantata la chirurgica delicatezza con cui Busi affronta certi temi.
A rileggere quelle pagine lì colgo meglio la struttura narrativa, i rimandi interni, i parallelismi tra personaggi, i ribaltamenti: all’imprenditore micro borghese che sfrutta le babau deformi per la sua industra nasce la figlia mongoloide. E da bravo cattobigotto vorrebbe farla fuori.

Qualche giorno fa girava voce che lo Stato, in attesa di poter tagliare la testa ai disabili stava tagliando tutto il resto. Poi il Governo ha fatto marcia indietro, ma la cosa non mi sorprende.
Non è per cinismo, è che le persone fanno fatica a capire quanta fatica ci mette un povero stronzo handicappato ad andare avanti. Senza – beninteso – voler affermare che per i poveri stronzi normodotati la vita  sia rose e fiori.

Ognuno di noi ha un sacco di problemi. E il sacco di problemi personali un handicap ambulante se lo tira dietro in un corpo provato dalla vita, in molti casi già da embrione.
Da questo corpo tarato derivano 2 ordini di problemi:

1) logistici
2) culturali

Quando sono sotto la doccia e chiamo ‘Mooreee, non è per  un preludio di un gocciolante  momento di passione che chiamo Marco.
E’ per aiutarmi a uscire. Perché certi giorni ce la faccio, certi altri no.
Non è una cosa facile da spiattellare in giro. E’ la tipica situazione che preferisco rimuovere, come il  fatto che non riesco a tagliarmi la carne nel piatto.

Poi  con un deflagrante effetto domino, da tutti questi impedimenti fisici  deriva un’infinita serie di pregiudizi culturali .

Spesso si tratta di veri e propri voli pindarici rispetto alle questioni strettamente pratiche  che li hanno generati. Ad esempio il fatto che da handicappati non si possa lavorare, o che il beato handicappato (in realtà falso ebete) non possa comprendere tutta la galassia di altri dilemmi che affligge il resto del mondo, ma che in realtà condizionano anche lui. Avere problemi di salute non ti esonera da tutti gli altri, ma questo tantissima gente non lo sa.

E credo che non lo sappia nemmeno lo Stato italiano, ma - lo ripeto - non mi sorprende perché un’istituzione è espressione di quello che un paese è. La beata ignoranza dello Stato  non è aggressiva, direi  piuttosto che sembra una quieta e pigra indolenza, condita da una buona dose di auto-indulgenza.

 Mettersi nei panni altrui è sempre imbarazzante, perché farlo per soggetti così poco appetitosi dal punto di vista economico, relazionale, sessuale e elettorale? Mah, boh, umpf.

sabato 6 ottobre 2012

Non sorridiamo alla vita: mettiamole un filo di rossetto!



Essere ottimisti.
Protendersi al meglio.
(Stra)Volgere il negativo al positivo.

Un po’ come trasformare Le avventure di Pinocchio o quelle di Pollicino nelle Avventure di Pisìcchio e di Pollicisì. Per non parlare di una raccolta di novelle orientali che si trasformerebbe in Le Mille e una Sìtte.

Perché snaturare costantemente l’essenza delle cose?
Non è forse meglio guardare in faccia le brutture dell’esistenza e dirle: «Senti cara, forse è il caso che ti dai una pinzettata alle sopracciglia?».
Un po’ di make up ben fatto è meglio che girare la faccia dall’altra parte e fare finta che vada tutto benessimo: «Sei bellissima anche così».


©B. Lacombe (Fatevi un giro sul suo sito!)
Comunque continua a riempirmi di genuina felicità girovagare nella sezione ragazzi delle librerie.
In particolare sfogliare la sezione degli illustrati come Le quattro stagioni di bosco di Rovo e i libri  di Benjamin Lacombe, che forse prima o poi mi comprerò.

Ieri, ho visto esposto in vetrina un nuovo romanzo di Gaetano Cappelli che si intitola Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi.
E mi sono resa conto che sto invecchiando, perché ho rinunciato all’acquisto di impulso ( e se magari fosse una sòla da 16 Euro? ) .  Forse è la saggezza dell’esperienza o forse la crisi che spinge ad avere cautela nei consumi (mai comprare un libro se non ha una media di recensioni positive da 4 stelline su Anobii).

Però il mio cinismo mi fa pensare.
Se uno non si abbandona con fiducia tra le pagine del nuovo libro del suo scrittore preferito, che cosa resta?
C’è stato anche un altro pensiero la cui formulazione mi ha sorpresa.
Baci a colazione di Cappelli è uscito sotto Natale dell’anno scorso.
E che capolavoro può tirare fuori dal suo sia pure mirabolante  e cervellotico estro in una decina di mesi?
Nell’attesa di entusiasmanti recensioni, signori, io diffido.
Trepidante, perché non vedo l’ora di essere smentita.