martedì 24 dicembre 2013

Anno nuovo, lavoro nuovo

Beh,  nel 2014 cambierò lavoro. Lascio il certo per l'incerto, il diavolo che conosco per qualcosa che non conosco anche se in realtà l'unico vero rimpianto che ho è che vorrei traghettare buona parte - mica tutti, eh - dei miei (quasi) ex colleghi nella mia futura azienda.

Visto che il primo impiego non si scorda mai, infatti, da quando ho firmato la preassunzione, ogni tanto mi tornano alla mente i miei ex ex colleghi, i loro dispettucci, il loro sarcasmo e la loro omertà quando il programma per cui lavoravo ha chiuso i battenti, loro sono stati indirizzati verso nuovi impieghi e la invece sottoscritta tanti saluti al cazzo e affidati alla divina Provvidenza.

Ecco, spero proprio di non tornare di nuovo in un ambiente dove prima di parlare devo correggere mentalmente la bozza di quello che ho intenzione di dire, per paura di infilarci inavvertitamente qualche parola insolita che mi esporrebbe al dileggio - ecco ci son persone che se avessero sentito dileggio mi avrebbero già coperta di una gragnuola di frecciatine come san Sebastiano sulla colonna; anche se dal prossimo anno spero di diventare una devota di San Sebasta ovvero e adesso basta, bel gioco dura poco e se l'ironia dovesse trasformarsi in derisione spero di riuscire a frenare la cosa in modo cortese, ma fermo.

Ma è Natale e sotto l'albero invisibile della scoreggia di Versailles voglio metterci un bel pacchetto infiocchettato e pieno della speranza di conoscere belle persone, un po' come Alice, Beerman e le rispettive metà o come la Vale che anche se sento poco a adesso ha della prole da allevare mi tiene sempre aggiornata.
E a proposito di persone che crescono e si e si riproducono, ho scoperto spulciando la sua pagina Facebook, che mentre io l'anno prossimo cambierò semplicemente lavoro, a un amico lontano cambierà proprio la vita, visto che a quanto pare farà il mammo man!

domenica 1 dicembre 2013

La casa - Terzo round

Puoi andare a vedere una casa troppo cara, troppo scrausa, troppo piccola, troppo poco adatta a immaginartela come la tua casa ma, si sa, il peggio è fantasioso.

Così ti capita anche di aspettare mezz'ora sotto il nevischio e all'arrivo del venditore scoprire che c'è stato un misunderstanding («...Il mio collega mi sentirà») e ritrovarti in un cortile ad aspettare che Marcrampante torni dalla visita di un bilocale al terzo piano di un palazzo senza ascensore che sapete già entrambi che non comprerete mai (già la vita è tutta in salita, vi immaginate la sottoscritta che si fa un tris di piani in arrampicata o discesa libera tutti i giorni?), perché quelli dell'agenzia immobiliare hanno fatto confusione e ci hanno girato un indirizzo a cazzo.

Il povero venditore era così in imbarazzo che temevo tirasse fuori la  katana dalla giacca a vento e facesse harakiri sventrandosi proprio lì in cortile: immagino una persona paralizzata che  involve in superparalizzata per il freddo e aspetta sotto la tromba delle scale  immagino che sia una scena che stringe il cuore, no?
Ecco io non volevo aggiungere disagio all'imbarazzo quindi mi sono stretta nel piumino, ho fatto un bel sorriso e scocco un risolutivo: «Nessun problema. L'appartamento che intendevamo vedere verremmo a visitarlo una sera della settimana prossima»; anche perché temevo di ritrovarmi sulla coscienza il povero stronzo che ieri sera alle 18.45 mi aveva girato l'indirizzo sbagliato.

E così me ne vado tranquilla «come un monaco tibetano, come un ninja di Milano» (Fabio Volo supplente di vita, docet). La canzone che ho in testa è inevitabilmente questa...

domenica 24 novembre 2013

Due cuori e il ponte della Ghisolfa?

Da oggi in poi le tipiche abitazioni vecchia Milano saranno rinominate case di ringhio, dal momento che fanno digrignare i denti e storcere il naso a Marcoccupy. A me le case di ringhiera piacciono molto, l'idea iperuranica della casa di ringhiera, mica quella zona di disagio che siamo andati a vedere ieri. Già accanto al civico indicato abbiam scorto un segnale letteralmente funesto: un'agenzia di pompe funebri proprio sotto casa; ma vabbè: quando si dice "In zona non manca niente...".

Stiamo aspettando il commerciale dell'agenzia immobiliare e vediamo un'ambulanza accostare davanti al portone.
"Avete chiamato voi?" ci fanno i volontari del soccorso.
"No" (...Non ancora! completo mentalmente e con prudenza).

Entriamo nel portone con il rappresentante dell'agenzia e ad accoglierci ai piedi della scala in cima al quale si trova il nostro potenziale bilocale troviamo ad accoglierci un materasso sfondato e coperto di macchie inquietanti. Mentre aspettiamo l'ascensore nell'atrio, invero un po' dimesso, il venditore accenna timidamente ai pregi dello stabile ma è interrotto dalle dolenti lamentele di una signora che aspetta l'ascensore anche lei, col carrellino della spesa al seguito e piange il degrado generale del palazzo per colpa dell'amministratore e del portinaio, quest'ultimo che con pulisce mai lei scale (ho buttato un'occhio ai gradini e ho constatato che con ogni probabilità aveva ragione) e che introduce nell'immobile ogni sorta di gente...."uno schifo!"

Osservazione fatale perché Marco già si è prontamente immaginato spiato in casa dal ballatoio da ogni sorta di loschi figuri, pronti ad introdursi in casa e nel suo ano un coltello tra i denti, sbudellando nel frattempo il nostro preziosissimo porcellino salvadanaio.


Per il resto l'appartamentinoinoino era in sè tutto nuovo, molto bellino, a parte il microbagno con gli scalini e l'apertura del box doccia così strettinainaina che mi sarei sicuramente ammazzata per entrarci (ma vuoi mettere morire da proprietari di 50 m²?  Tanto le pompe funebri le avremmo avute sotto casa!).

Di ritorno a casa è scoppiata la guerra immobiliare con Marco che dice che tutte e due le case che abbiam visto finora sono piccole e squallide e io che ribatto che se riesce a moltiplicare X 5 il nostro budget possiamo tranquillamente puntare a un superattico nel quadrilatero della moda  invece che a un bilocalino dell'angolo ottuso del disagio sociale. Mi sa che siamo entrambi piuttosto confusi e io di sicuro sono straterrorizzata dall'eventualità di tornare un giorno o l'altro in un posto come l'Hotel des Invades (cfr. il mio precedente blog) dove stavo appena trovato lavoro a Milano.

Ho googlato "Santo protettore della casa", ma pare che non esista, c'è però santa Zita (27 aprile)  protettrice del ritrovamento delle chiavi di casa, più specifica rispetto al generico ma celeberrimo sant'Antonio, per ritrovare gli oggetti smarriti a cui mia nonna in tenera età ha insegnato a rivolgermi con lo scongiuro "Sant'Antone de la barba bianca fam truà chel che ma manca!".
Dato il riferimento alla peluria canuta credevo ci si riferisse a sant'Antonio Abate, ma pare invece trattarsi di sant'Antonio da Padova (13 giugno).

Ma non divaghiamo nelle minuzie, che non voglio mica sottrarre a Leonardo il suo blog agiografico; credo anche che sia peccaminoso dichiarare che a me la casa manca, perché un tetto sulla testa, sia pure in affitto ce l'ho e Gesù stesso nel vangelo di Matteo dichiara: «Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». E quindi si proverà anche noi a fare come gli uccelli del cielo e i piccioni qui in città, i gigli nei campi e le erbacce  che spuntano a fianco dei marciapiedi.
Male che vada ci possiam sempre costruire un rifugio di design sotto il ponte della Ghisolfa, o meglio ancora sotto uno di quelli del Naviglio Grande che mi piaccion tanto: vuoi mettere l'effetto innovazione?!


domenica 17 novembre 2013

La casa a ostacoli

Da qualche settimana io e Marcaffittononnepossopiù! ci siam messi seriamente a cercare un 50 m² da acquistare qui in città, a Milano. Devo ammettere che mi sembra proprio una mission impossible trovare una casa carina decorosa con il budget - anzi il badget -che abbiamo a disposizione. Riusciremo a passare da inquilini a proprietari e ce la faremo a fare il salto di qualità dal mono al bilocale?
Mah. 

Già mi vedo sessantenne  sempre qui alla Scoreggia di Versailles a versare l'affitto a quella che sarà allora la nostra matusalemmica padrona di casa che ci chiamerà ancora in preda al panico perché non le tornano i conti della bolletta del gas. 

Ieri un'agenzia immobiliare ci ha mostrato la prima casa papabile: un bilocale in una casa di ringhiera che si trova più o meno a metà strada tra i Navigli e casa Beerman. 
La proprietaria è una signora filippina che se ne torna al paesello natio in montagna, lontano dagli schianti dell'uragano; ha ricoperto ogni mensola, parete e centimetro libero con santini, immaginette votive e Padri Pii: il che mi ha fatto pensare a un segno: qui per pigliar casa ci vuole davvero un miracolo.

Mentre io me ne sto abbarbicata al negative approach come una piattola al pelo pubico, Marcottimismo si dichiara (a parole, non ho ancora capito se stia bluffando) molto più ottimista e pronto a scommettere che in un annetto ci sistemiamo. Io son più propensa a convincermi che entro un paio d'anni ci saremo trasferiti in Via Olgettina. 

Deliziosi appartamentini a poco prezzo con doccia e ascensore, dove vi siete nascosti? Se ci siete fate un fischio attraverso una crepa nel muro (anche se sarebbe meglio se non ce l'aveste)  e corriamo subito a bloccarvi, oppure battete un colpo di tegola sotto casa nostra... Vi aspettiamo e neanche numerosi, non siamo mica immobiliaristi tristi: ce ne basta uno, ma caldo, accogliente e pieno di simpatia!

domenica 10 novembre 2013

Adela l'è la Biancanef: 2 cuori e una favola in bresciano!

Qualche sera fa, così per prender sonno, mi son messa a raccontare la fiaba della buona notte in bresciano a Marcorecchio, Biancanef e i nomi dei sette nani suonavano così: Dutùr, Sternùt, Picinì, Rompicojoni, Ridaròla, Parlamì'ho e Aadòrmer. Nella versione locale emerge tutto lo stakanovismo padano del settetetto che canticchia in allegria, l'energico motivetto di ispirazione disneyana: «Ejò, ejo dai che 'nvà a laurà», e mentre il gruppo piccona che è un piacere, l'operosa Biancanef, la laha, la stira, la fa i misteher, la pulenta e po' qualche pipotto ai padroni di casa,  che è proprio una ragassa di buon cuore.

Il tutto accade mentre l'interessato sfoglia distrattamente il giornale locale che riporta la notifica dell'arresto di un borgomastro di un villaggio dei dintorni, e di politica e politicanti non se ne può proprio più.

Che poi chissà da dove arriva quella Biancanef lì, che loro l'hanno accolta e si vedeva proprio che era una giovane in difficoltà, anche se di questi tempi meglio non fidarsi di nessuno, perché non sai mai chi ti tiri in casa e se ne son sentite di storie... Però si vede che la Bianca è una seria, non è una che ulta 'a i gioedè come che vuole diventare velina o letterina o quelle cose lì che ormai sono in troppe anche loro e c'è il precariato pure in quel settore lì.

Solo, casso, non doveva fare quella cappellata di aprire a quella mezza strolegha e, di mangiare pure la mela che chissà da dove veniva e quanti pesticidi c'eran su o magari c'era dentro quelle droghe lì sintetiche che ta dihentaet drughaat sensa 'gnac rendis cont.  E aver trovato la bianca in quello stato e essersi ripresi dallo shock hanno ispezionato de pertot che la 'putananatroia non avesse portato via niente.

Pota, l'era 'ndada isè.

Per fortuna che poi è arrivato quel principe lì, tanto per bene che l'ha aiutata a disintossicarsi e si vedeva che era uno anche lui con la testa sulle spalle. Magari non si svegliava più po' per colpa 'o de lur, che era sempre lì a pulire, mai un'uscita, un pirlo in compagnia coi soci, e loro non se n'erano mai 'ncursich.... Ma adesso eran tutti bei contenti,  che quel principe 'surro l'era bel, braho, 'namurat e piè de sghei!!!

domenica 3 novembre 2013

Sogno o son destra?

Destra e sinistra in questo Paese sono come due gemelli siamesi, magari non proprio la stessa cosa, ma si fa un  pelo fatica a capire dove finisce uno e dove comincia l’altro.

E questa cosa non è che l’hai mutuata da quel guitto furbetto di Grillo, ma ne convieni durante un summit bipartisan in pizzeria, con una tua amica della destra liberale ti coglie  un attimo il senso di smarrimento.
Certo, non la crisi esistenziale che avrebbe  steso forse un trentenne di Democrazia Proletaria negli anni Settanta, quando il personale era ancora politico (oggi, per inciso, il personale son Gran Cazzi Tuoi e di politico non è rimasto più niente), ma un disorientamento comunque bello profondo; tipo che oggi magari voterei ancora per Vendola, ma senza lo stesso entusiasmo di cinque anni fa, per dire: e penso al futuro dell’Italia mi sembra già sbiadito, e forse era così che ci sentiva in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale. Poi lì in Krautonia è arrivato l’Adolfo Hitler, e con un colpo di scoreggia ha gasato tutti quelli che considerava diversamente tedeschi e se dovesse succedere qualcosa del genere anche in Italia noi gente sifola siamo in cima alla lista.


Ho scoperto che i trentenni di oggi non potranno nemmeno godersi l’alloro poetico di immortalare la crisi sociale in un capolavoro letterario.
Ci ha già pensato Israel J. Singer nel 1937 (!),  pubblicando I fratelli Ashkenazi. Grazie al Cielo ero seduta quando ho letto della routine di Tevyeh a pagina 197, altrimenti per lo sbalordimento sarei stincata per terra.
Davvero non  mi sembra che ci sia altro da aggiungere, sulla quotidianità del capitalismo, alle parole di questo autore yiddish, fratello del nobel Isaac. Settant’anni dopo, nulla si è evoluto, nemmeno nel passaggio dalla produzione materiale a quella immateriale, dalla produzione di fazzoletti a quella di appuntamenti telefonici.


In tutto questo la mia passione per la letteratura yiddish diventa sempre più bruciante, e se credessi nella reincarnazione giurerei che in una vita precedente vivevo in uno shlet polacco dove  ogni venerdì si attendeva il sorgere delle stelle che inauguravano il sabato e i chassidim danzavano inebriati nel tramonto infuocato, in viaggio verso il loro rabbino.

domenica 20 ottobre 2013

Tutta in fermento (lattico)

E' uscita una raccolta di racconti Eccoci qui, - che prima o poi comprerò in ebook - della scrittrice americana Dorothy Parker. Dorothy Parker che, lo ricordiamo, scriveva le didascalie per le illustrazioni di Vogue.  Non l'ho ancora preso perché ho già sottomano una raccolta di racconti della Munro da leggere, e a me difficilmente i racconti esaltano, a meno che non siano stati scritti da qualcuno di davvero superlativo.

In questi giorni, all'insegna degli attacchi d'ansia  e di ipocondria, ho almeno avuto la fortuna di imbattermi in La felicità è di questo mondo, di David Lodge, uno di quegli autori che andrei ad abbracciare di corsa: Laurence Passmore il protagonista del romanzo soffre di depressione e panico, e lo scrittore inglese lo descrive in modo così acuto, ironico ma allo stesso tempo pieno di comprensione ed empatia, che ti fa venire voglia di tirar su il telefono per fare due chiacchiere con lui.

Sono sotto il tiro dello stress: mi domando perchè si faccia tutto questo gran parlare dell'analfabetismo di ritorno degli italiani e delle loro scarse capacità computazionali (la sottoscritta per prima, eh).

La vita è davvero una partita a Street Fighter e le competenze intellettuali, per come la sto vedendo ultimamente servono a 'ngazz. Sarebbe più utile andare a lezione dai Sioux dei film western, per imparare come difendersi dalla pioggia di frecciatine che cadono addosso a una ogni giorno, provocazioni e punzecchiature che se fossero di vespe si sarebbe già in shock anafilattico da mo'.
Fino a un po' di tempo fa ero una di quelle  persone che provava a attenersi al monito «sia il vostro parlare sì, sì; no, no», ma sto un attimo rampando giù dal pero e dal Discorso della Montagna ,  dal momento che sto faticando a star dietro all'altissimo alpinismo morale del buon Gesù. Il mio parlare ultimamente è boh, boh, senza contare che negli ultimi tempi  è capitato anche a me di tirare un paio di staffilate verbali a tradimento, dissimulata  da un sorriso radioso, cosa che ho sempre evitato di fare, dal momento che non sopporto quando lo fanno a me. E questo accentua i miei sensi di colpa, che a loro volta alimentano i miei stati d'ansia e il mio status escrementizio, così mi sento una merda 24/7.

Allora, ricapitoliamo: la gentilezza con gli altri non funziona perché agli occhi altrui, se ti prendi il lusso di essere gentile, vuol dire che non hai abbastanza casini tuoi che ti rendono aggressiva, e se non li hai, te li facciamo venire noi.  Manco il metodo Nonvedononsentonondicoucazzo funziona. Passi per studipidiota e poi la gente si sente autorizzata allo sfottò libero, che tanto non te ne accorgi.
Ancora, se invece rispondi per le rime a una provocazione ti ritrovi ad avere il marchio del tipo ipersuscettibile e aggressivo, che viene radipamente isolato dal branco. L'unica strategia efficace  è rispondere in modo soave, scaltro e sorridente, in modo che l'interlocutore non si accorga che stai rispondendo per le rime, con sagacia e un filo di sarcasmo, per giunta.

Però, se è vero che l'intestino è un secondo cervello, credo dipenda da questo la diarrea dell'ultimo periodo, a meno che non sia un tumore o chissà cos'altro; la flora batterica si è trasformata in una gorgogliante distesa di piante carnivore che, come i cattivi pensieri - non si lascia estirpare facilmente.


domenica 13 ottobre 2013

Una lettera per Silvio B.(!)

Caro (ma sì, dai, lasciamolo!) Silvio Berlusconi ,

in questi giorni si fa un gran parlare della limitazione delle sue libertà e della sua possibile destinazione ai servizi sociali.
Al momento sono incensurata, ma in  quanto persona con disabilità, di limiti ne so qualcosa. Per questo mi è venuta l’idea di scriverle.

Venerdì sera,dopo aver lavato il pavimento, il  mio ragazzo è scivolato schiantandosi contro l’unica porta a vetri del nostro monolocale; non l’ho confidato nemmeno ai miei amici più cari, ma a lei posso dirlo: è stato terrificante non poter far altro che chiamare il pronto soccorso, mentre il braccio di MarcAhimè sanguinava copiosamente, senza poterglielo nemmeno fasciare.
Guardi, non mi piace sbandierare a destra e a sinistra (soprattutto a destra, eh) la caterva di cose che non posso fare, ma tra quelle che  il mio ragazzo fa per me ci sono cucinare, accompagnarmi al lavoro, lavare, pulire e spesso e volentieri estrarmi o introdurmi nella doccia nei giorni in cui non riesco a farla da sola. Tutto questo, oltre a un lavoro stressante, mal pagato e molto, molto  precario.

Prese da sole però immagino che la cura della sottoscritta e del monolocale, non siano attività sfiancanti. Per  cui,  ecco la mia proposta: Presidente,  perché non viene a darci una mano?
Ha sempre dichiarato di aiutare spesso e volentieri le persone in difficoltà, e – con un po’ di pudore – mi tocca ammettere che spesso lo sono, anche se non mi piace fare la classifica del chi sta peggio di chi.

Poi, credo che avremo tanto di cui parlare: immagino che quando nella sua cerchia si parla di ragazze con due lauree, a meno che non abbia capito male io, ci si riferisca a triennale più specialistica, e in questo caso ne avrei anch’io un paio, di cui una – per di più – conseguita con un dirigente delle sue emittenti, per cui avremo davvero un sacco di cose di cui parlare.

Certo, io voto rosso, ho votato tutta l’area di sinistra da Rifondazione comunista al PD anche se di solito le mie preferenze elettorali vanno a Sinistra, Ecologia e Libertà dal momento che il suo leader, Nichi Vendola, si dichiara – cattolico e comunista – in maniera abbastanza corrispondente ai miei valori. Non sono mica (o almeno me lo auguro) una di quei comunardi  lazzaroni e lavativi: certo ho un contratto part-time, non per volontà mia ma dell’azienda che mi assunto;  in questo modo non posso rinunciare nemmeno alla pensione di invalidità (all’accompagnamento, nonostante le ripetute visite di accertamento,  penso che potrei farne a meno soltanto dopo un viaggio a Lourdes, con tanto di pirotecnico miracolo).

Mi farebbe piacere se lei mi accompagnasse in ufficio: pensi che ogni giorno, quando mi siedo alla scrivania penso sempre a quel suo ministro che dichiarò che nel nostro Paese ci sono troppi invalidi, ecco sarebbe bello che un giorno costui cambiasse idea e magari pensasse che all’Italia farebbe bene qualche handicappato in più.

Magari, Presidente, visto che anche lei si professa cattolico potrebbe anche accompagnarmi a messa il Sabato sera: sapesse che battibecchi teologici con Marcagnostico, quando mi ci accompagna lui!
Poi magari, si ferma anche a mangiare una pizza. Le nostre non sono cene eleganti, anzi sono parecchio informali ma il pizzaiolo sotto casa è bravissimo e ce la caviamo con dieci euro.

Ogni tanto, magari, potrebbe fare una capatina per la visita domenicale di mia madre: inflessibile con lo sporco come lei lo è con la magistratura, se non diamo la caccia al più piccolo granello di polvere prima ancora che si sia posato su una superficie son cazzi amari, ma forse lei potrebbe ammaliarla con la sua leggendaria simpatia e renderla un filo più elastica.

Per il momento la saluto, con poca simpatia lo ammetto, ma le vie del Signore (Sto parlando di Dio, eh, non di lei, eh)  si sa mai che le cose cambino.
 
Grazie a Speechable.com

P.S: Marco ha detto che l’idea di averla in casa lo «ripugna». Non si preoccupi che ci sto lavorando. Magari poi passa una bella serata tutti insieme con la pianola in allegria.

lunedì 7 ottobre 2013

L'abito da sposa e le tutine in latex - Ruoli scomodi e incontri confortevoli

Sabato, nella nostra personale stagione di Abito da sposa cercasi, ho rivisto dopo anni La Cavallerizza. Che fuori dall'atelier, ha salutato me e la futura sposa con un: «Stanotte ho dormito quattro ore».

Spero che lo pseudonimo con cui la indico sia abbastanza criptico, perché la futura sposina ha subito osservato che qualsiasi succoso gossip che solletica le mie orecchie finisce qui sopra, manco questo blog fosse monitorato dalla redazione di Eva Tremila o dalla C.I.A. (Comitato Indiscrezioni Amorose).
La scena però è stata irresistibile, degna di Sex And The City.
La fidanzatina d'Italia era lì che infilava e sfilava tutte, pizzi e georgette, l'altra mi aggiornava sulle sue avventure à la Samantha Jones.
La proprietaria dell'abitodaspisaficio  ci ha spiegato come si valuta un abito da sposa dopo averlo provato «Non si deve mai esordire con : - Mmm forse, magari dopo lo riprovo -. Ci sono 3 categorie in cui classificarlo 1): Non è lui 2) Mi piace ma non me lo metterei 3) Potrebbe essere lui».
E la Cavallerizza, che si dichiara single impenitente, ha osservato che si tratta di metodi di giudizio molto adatto anche per gli uomini; te ne metti addosso uno via l'altro fino a quando trovi quello che ti calza a pennello, se lo trovi.

Beh, mi son divertita talmente tanto che, dopo a pranzo - quando siamo andate in pizzeria -  c'avevo la faccia come un Picasso a suon di schignazzamento,  e mi è venuto il dubbio che negli ultimi anni mi son sentita così sola e scarafaggesca perché mi sono ostinata a voler frequentar  persone poco calzanti, quelle che sei sempre tu a chiamare o a chiedergli di uscire, coltivando amicizie col comfort di una tutina in latex, che però ti rode il culo a cestinare  (con tutto  il sududare e il tempo che ci hai investito per riuscire a infilartici dentro!) eallora via libera al sadomasochismo amicale: sei lì a maciullarti le ovaie di ditalini mentali che se solo fossi stata più disponibile, più presente, meno invadente, più ancillare... 

(E a rilegger queste frasi, mi sembran le cose che zampettavo sul blog dieci anni fa, tanto che mi sorprende che in tutti questi anni nessuno mi abbia mai linkato il numero del Telefono Amico con sotto scritto l'invito E adesso rompi il cazzo a loro!!!!)

Marcamico, tra una chiamata e una chat su Facebook con i suoi sodali,  me lo andava ripetendo da tempo - di aprirmi a nuovi orizzonti invece di rimuginare sui vecchi eh, mica di tirar su la cornetta e di chiamare il sostegno psicologico -.
Per inciso, sono invidiosissima dei suoi legami, ha amici fraterni con cui sta al telefono per ore la sera tardi a ridacchiare, come una biondina adolescente con le sue compagne di scuola,  e a interrogarmi sotto le coperte «Perché a lui sì e a me no?». Ogni tanto per consolarmi mi propone teneramente di mettersi una gonna, un po' di rossetto e di andare a fare insieme cose da ragazze.

Ma oggi tornando dallo sbufficio, ho trovato su Fb un messaggio della Cavallerizza che mi dice che le fatto strapiacere vedermi e quando ci rivediamo eccetra eccetra che mi è venuto il batticuore amicale e son felice, proprio entusiasta,cazzo, meno escrementizia e molto più azzeccata.

sabato 28 settembre 2013

Spaghetti e sparate con poco sugo

Vi ricordate che in Infinite Jest David Foster Wallace indicava i capitoli con i nomi dei prodotti significativi dell'epoca come l'Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell'America o l'Anno del Pannolone per Adulti Depend?
Ecco, lui ha colto benissimo la tendenza alla brandizzazione sadomaso della nostra epoca, per cui non c'è da atteggiare la boccuccia in un O di sorpresa se le dichiarazioni di un industriale italiano fanno più scalpore nell'opinione di noi poveri stronzi, per dire, del suicidio di un ragazzino che si scopre gay o del fatto che non esistano tipo leggi sulla reversibilità della pensione per  le coppie omosessuali.

Vabbè, anche l'irrilevanza del dibattito politico è  una radicata realtà dei nostri anni; già nei decenni scorsi non si teorizzava «Voti ogni volta che fai la spesa?».
Tutto questo prorompere di tormentoni, parodie su Youtube  e lunghissimi post spaghetto-sociologici mi hanno ricordato un dibattito, che si era sviluppato l'anno scorso, in modo molto più austero e rabbioso e (ahimè) molto meno brillante, su questo post di Umore maligno nell'ambiente  handy friendly. Quando ho letto la feroce ondata di polemiche che si è sollevata contro quella satira mi sono chiesta perché cazzo non si scatena lo stesso pandemonio di indignazione contro l'emarginazione e la discriminazione civile, sociale e  lavorativa delle persone con disabilità.

Anche nel caso italicissimo, gayssimo e pastaiolo di questi giorni abbiamo l'ennesima, superflua prova che l'immagine condiziona ogni cosa; non è una critica, ma un dato di fatto.
Dove c'è Barilla c'è casa, sentivo ripetere da piccola negli anni delle bambine orientali appena adottate che risucchiavano spaghetti ,e lo slogan si è impresso nei cuori di tutta la nostra generazione come un mantra, a prescindere dall'orientamento sessuale, ovvio. Quindi qualcuno, all'invito di mangiare un'altra pasta si è sentito - anche comprensibilmente, eh - sfrattato.

L'idea di un superboicottaggio in allegria ci sta anche, visto che:

1) Se mister Barilla se non ha la sagacia di comprendere che ai suoi occhi di industriale gli omosessuali sono  prima di tutto una bella fettona di consumatori che le sue dichiarazioni potrebbero urtare dovrebbe essere schiacciato dalle medesime, spietate leggi del capitalismo che lasciano senza stipendio uno sproposito di persone ogni giorno.

2) Visto che - come scrivevo prima -  compilare la lista della spesa è un gesto molto più significativo, articolato e d'impatto che mettere una crocetta sul simbolo di una scheda elettorale, l'evoluzione sociale passa per forza dalla lotta politica alla tattica dei consumi. E questo «Mangino un'altra pasta» suona un po' come la miccia della rivoluzione.

3) Ci sono prodotti qualitativamente migliori e questa è una buona occasione per scoprire se ce ne sono anche di più convenienti, senza infilare d'inerzia nel carrello la solita scatola blu.

Con tutto il sugo che si fa, come non cogliere l'orientamento dello spaghetto?


Nonostante tutto, però non posso trattenermi dal pensare che sarebbe bello vedere lo stesso fermento creativo per i quattordicenni che si lanciano dal balcone (ad esempio, in America hanno fatto questo.), o la stessa solidarietà per le persone disabili che vengono picchiate, molestate o emarginate ma non finiscono in rete o su Struscia la Notizia.

Perché indignarsi per le apparenze è è bello, ma cambiare la sostanza della realtà, miei cari mangiatori di pennette rigate è meglio. Intanto attendiamo fiduciosi il prossimo spot barilla dove un maschio spaghetto si infilerà in un sorridente e appagato bucatino, mentre un farfalla si fidanzerà con una tagliatella - transgender - ex tagliolino e tutti vivranno carboidrati e contenti: W l'Itagliolina!

domenica 22 settembre 2013

Spese da sposa

Ieri ho accompagnato un'amica - quella che mi ha chiesto di farle da testimone - in  un atelier di abiti da sposa; una bomboniera di pizzi, rasi e chiffon.
Dopo qualche avvisaglia sulla metro però, appena messo il piede nell'ingresso ho chiesto «Scusi dov'è il bagno?» e una volta sistemate le chiappe sulla tazza della toilette mi sono abbandonata a un imbarazzante attacco di diarrea con Julia Roberts e Richard Gere che mi sbeffeggiavano dalla locandina di Se scappi ti sposo, appesa sulla parete di fronte. Meno male che in quello spumeggiare di tessuti ricercati, la carta igienica non era in tulle. Precisiamo: non credo si sia trattato di un fenomeno psicosomatico tipo il matrimonio mi fa cagare, è che ho avuto una settimana faticosa e stressantissima per altri motivi (a meno che nel frattempo non faccia una rapina in banca o faccia prostituire Marcolgettina) di cui credo mi toccherà parlare tra un po'.

Vedere la mia bellissima amica con addosso bellissimi abiti, mi ha divertito un sacco. Poi  siamo andate da una sarta stilosa, per vedere come funziona farsi fare un abito da sposa su misura e-  vi giuro - era dai tempi di Gira la moda che non mi esaltavo così tanto. Io, sempre stata convinta che l'abito da sposa fosse un'inconcepibile spreco di denaro, sto prendendo in considerazione la possibilità di cambiare idea. In realtà già da qualche tempo sono una fan accanita di Abito da sposa cercasi e pinno con puntualità i vestiti  che mi piacciono e che mi capita di vedere su Etsy. Tutta quest'attenzione per il lato fashion dell'evento ha fatto capolino all'improvviso. Pare che abbia occhio; dev'essere un eredità del lato materno della mia famiglia, mai manifestatosi prima d'ora, ma del resto mia madre e mio zio lavorano da trent'anni nell'abbigliamento femminile.  Magari mi apro un'agenzia di wedding planning, divento richiestissima, mi piglio un bilocale non troppo in periferia e vado via serena.

domenica 15 settembre 2013

Questione di fibra

«La vita ha deciso per te e così hai deciso di riassumerti da solo…» recita lo spot di una compagnia telefonica. Compagnia telefonica che – probabilmente - ha invitato molti suoi dipendenti a fare lo stesso, come ho scoperto un giorno in cui la connessione  ha fatto ciriciao! e  dato forfait, costringendomi a contattare il servizio assistenza.

Al termine della precessione di  prema uno, prema due,  spremi il brufolo che nel frattempo è spuntato sul popò informano me, gentile cliente,  che la chiamata sarebbe stata gestita dall’estero. Non credo che un’azienda di telecomunicazioni decida di esternalizzare il servizio assistenza per genuino spirito filantropico e per far crescere il paese, dal momento che anche qui da noi ci sarebbe bisogno di qualche punto percentuale di crescita, come ricorda Enrico Mentana con inquietante, puntuale quotidianità al tg delle otto.

Attualmente, a Milano lo stipendio di un operatore di call center full time – almeno nel settore vendita – non permette di fronteggiare con tranquillità le spese  ordinarie di affitto, vitto e trasporto. Ora, mi chiedo, quanto può offrire in busta paga una compagnia telefonica a un operatore nordafricano o mediorientale, disposto – come del resto tutta la nostra generazione worldwide –  praticamente a tutto pur di guadagnare qualcosa?

Sempre naturalmente che la compagnia non abbia deciso di gestire la faccenda interamente in outsourcing, affidando a un’agenzia esterna il compito di ricercare, formare, sfruttar… pardon, far lavorare e salariare il personale.

Se già qui gli stipendi nel settore della telefonia sono bassi, non oso pensare a quanto possano ammontare fuori dall’Italia… Stipendi nani?

Lo scaricabarile lavorativo che del resto imperversa in ogni settore, da quello delle produzioni televisive a quello della manifattura, come dimostrava, qualche anno fa, questa agguerrita inchiesta di Report.



Certo che poi la fibra uno se la fa venire per forza, e un giorno forse qualcuno molto infuriato userà la propria fibra per impiccare certuni, quelli che vorrebbero rilanciare i consumi, ma creare lavoro è tanto, tanto difficile…

domenica 8 settembre 2013

Ti regalerò i regoli....

Ieri in sbufficio non so perché a un certo punto ha preso il via una discussione sui numeri e così ho (ri)scoperto che oltre ai numeri interi ne esistono di tanti tipi diversi oltre ai decimali, interi e con la  virgola. Ho scoperto che ci sono anche gli irrazionali che forse sono quelli che digito io al lavoro, in preda al panico computazionale e i surreali (le sviste nei conteggi?).
Ci son persone che la provvidenza ha sponsorizzato con un microprocessore nel cervello, altri hanno una calcolatrice.
A me è toccato un abaco.
Più che un’avversione nei confronti della matematica  nutro un vero, sacro terrore dei conteggi: mi perdo in un bicchiere di calcoli.
Mi ricordo ancora la prima lezione: la maestra ci aveva fatto disegnare dei cerchi rossi con dentro gli oggetti che c’erano sul banco o sulla cattedra. Poi aveva iniziato a spiegare la teoria degli insiemi.
Io ho pensato:«Eeeeeeeeehhhhhhhh?!».

I 23 anni seguenti sono tristemente noti.

Dall’anima pia che mi dava ripetizioni al liceo e se n’è andata a prendere i voti a mia mamma che  - una volta che mio padre si era messo in testa che dovevo iscrivermi a economia o ingegneria – gli ha risposto: «Ma se l’è gnè buna de fa du più du gnè cò la calcolatrice».
Te ne pentirai, mi si ripeteva, e devo dire che sì ho avuto più di un’occasione di rimpiangere i miei limiti computazionali, soprattutto le volte che stavo cercando un impiego e le offerte per le categorie protette sono interamente dedicate a impiegati o contabili. Un handicappato deve compensare i suoi limiti fisici potenziando le sue capacità di calcolo; se non ce la fa rimarrà sempre un debito per la società tutta, e io mi sa che rimarrò insolvente a vita.

L’epilogo si sarebbe forse potuto cambiare se mi fossi imbattuta nella storia dei numeri o se un angelo mi fosse apparso in sogno,  rivelando a quella me stessa seienne che la radice di aritmetica è la stessa di arte e ritmo, cosa che ho  scoperto una quindicina d’anni dopo preparando un esame di semiotica. La matematica – come i racconti – è un principio ordinatore della realtà dovrebbe aiutare a tenere sotto controllo il reale, non farci dare di matto.
Se masticate anche un po’ di drammaturgia sapete anche che una struttura narrativa assomiglia a un grafico.

Vorrei poter ricominciare da capo alla luce di tutte queste info. Sarei stata una persona più dotata e brillante.
Al pentimento segue il perdono dello Spirito dell’aritmetica?
Come ripopolare di neuroni la parte del cervello che presiede ai conti e sottarre un po'di inadeguatezza, moltiplicando la fiducia in se stessi?

sabato 31 agosto 2013

Dalla Sicilia all'Esselunga: La spesa del rientro...

Avrei potuto postare l'immagine di uno strabiliante panorama siculo ma poi mi avrebbe ghermito la malinconia, quindi ho deciso di  mettere la foto della prima spesa del rientro trasportata fino a casa al canto di « E parlar di surgelati rincasando senza guardar le vetrine che altrimenti Marco si incassa un po'....» sulle note di Perché no?

Uno dei miei manuali di scrittura creativa sostiene che osservando i carrelli della spesa altrui nei supermercati si possono intuire un sacco di cose sui consumi della gente, e quindi in definitiva sull'animo delle persone. Dimmi cosa compri e ti dirò di sei, incartamenti altro che cartomanti!
Una ragazza di origine asiatica in coda davanti a noi alla cassa avrà comprato una decina di noci di cocco e poco altro. Certo, la cocos nucifera è un ingrediente base della cucina orientale ma ricette di cocco con cocco accompagnate da fette cocco non ne conosco.
Noi abbiamo preso, tra le altre cose pollo, tortillas e salsa piccante per le faijtas.
Spero che dalla fotografia si evinca almeno che qui alla Scoreggia di Versailles si prova a mangiare se non sano almeno assennato.

Mi rendo conto che non sto scrivendo quello che avevo intenzione di annotare: avrei avuto  un sacco di cose da raccontare su Sicilia&Co - tipo lo strepitosissimo concerto di Max Gazzè (lunga vita al pop poetico!)  - ma il solo pensiero di metterle qui nero su bianco mi fa salire il magone; ripensare all'amico che ci aveva invitati per non sprecare il biglietto, dal momento che la tipa per cui  li aveva presi  gli ha  tirato buca,  che se ne stava un po' mogio sui gradoni del teatro greco di Taormina, mentre io e Marco che ci dimenavamo elettrizzati come due cavalette adrenaliniche... Ah, che ricordi, quanta nostalgia canaglia!

L'unica cosa che  devo  inevitabilmente segnalare (perché suppongo to be continued)  è che una decina di giorni fa, mentre ero garbatamente appollaiata sul divanetto di mia suocera, ho ricevuto una telefonata dalla mia amica Aga che mi ha invitata ufficialmente ad essere la sua testimone di nozze. Quindi nelle prossime settimane si andrà per atelier d'abiti da sposa: Randy Fenoli aiutaci tu!

venerdì 16 agosto 2013

Vacanze prepartenza con Marco, Jay, Silent Bob, Honorè e Stefan Zweig!

Festeggiamenti alternativi del dì di Ferragosto, giorno di Maria Assunta in cielo a tempo indeterminato, in sintesi:

- rigorosamente nella Scoreggia di Versailles sotto il getto d’aria del climatizzatore
pranzo con il gelato avanzato in vaschetta (la gelateria  è chiusa fino al 20 del mese)
in compagnia di Jay&Silent Bob… Fermate Hollywood! - coccole a Marcuggioso in crisi esistenzialcreativa
- ben due livelli di Candy Crush superati in un giorno
- Anobii aggiornato
- serata  sprofondata nella lettura del Balzac di Stefan Zweig

Sull’ultimo punto grande applauso alla Castelvecchi,  attendevo la ristampa di questo libro da almeno un paio d’anni. Curiosamente la casa editrice sembra essersi evoluta in sintonia ai miei interessi: ricordo che da ggiovane cercavo i suoi libri sulla controcultura punk e da qualche parte a casa dei miei dev'esserci ancora Allucinazioni. Esercizi di vertigine. Novanta porte della percezione senza passare dalla droga.
La biografia di Balzac è fenomenale: gran consumatore di caffè e ossessionato dalle revisioni delle sue bozze, scriveva di getto ma in fase di revisione ribaltava tutto, un pc gli avrebbe sicuramente fatto comodo. La sua capacità di resistenza e velocità nel produrre contenuti editoriali era incredibile, da fare invidia alle fabbriche cinesi clandestine: il Père Goriot è stato scritto in una quarantina di giorni e la prima parte delle Illusioni Perdute – che secondo me è il top – abbozzata in poche settimane per saldare un debito, uno dei tanti da cui si lasciava oberare in allegria.

Al confronto di tanta celerità creativa sento un bradipo-lumaca tartarugata  sono settimane che  sto ruminando un incipit (…mi stava venendo da scrivere intro!) ma non ho ancora buttato giù una riga.
Magari ci provo adesso.

«Non me ne frega un cazzo se abbiamo scopato. Prendi la tua roba vattene: sei licenziato».

Ecco, fiuu, l’ho trascritto. Poi domenica parto e quando rientro a Milano ci penso altre settimane e butterò giù qualche altra frase.
Facendo un paio di conti riga di Word ci stanno circa 90 caratteri e in una pagina ci stanno 36 righe. Se io scrivo una o due righe a settimana a meno di non contare su una longevità matusalemmica difficilmente riuscirò a chiudere un romanzo anche di sole 150 pagine.
Quindi, come insegnano gli economisti di questi tempi e il buon Honoré già negli anni Trenta di due secoli fa, la parola chiave è produttività.
Ma c’è una cosa che mi frena.
Dicono che in Italia pare che nessuno abbia il tempo di leggere perché sono tutti occupati a scrivere il loro romanzo nel cassetto; sono l’unica imbecille che quasi non scrive perché non ha abbastanza forza di volontà per rinunciare a qualche ora di lettura vorace?

domenica 11 agosto 2013

Hit hit urrà - A trent'anni dagli strepitosi '80!

Mark dark è in preda alla new wave e mentre scrivo – ascoltando i Matia Bazar – mi rendo conto di quanto siano derivativi i Baustelle. Sto anche rivalutando prepotentemente Valeria Rossi, come ha osservato qualcuno le droghe di cui dispone sono molto più potenti delle nostre. Certo i tormentoni musicali  perseguono delle vie misteriose e infinite, tipo Vamos a la playa, come ricostruisce questo articolo di Repubblica.
Scoprire che i Fratelli Righeira, non sono consanguinei mi turba e che il brano sia stato in origine un pezzo dark quasi mi sconvolge.
 È incredibile come la vita e l’industria musicale snaturino le cose.
Uno parte con delle convinzioni, delle idee e si ritrova ad avere degli atteggiamenti che non avrebbe mai immaginato.
Tipo l’espressione faccina di culo: «È un problema mio?» che sto imparando a usare nei rapporti con la ggente in modo sorprendentemente disinvolto.
Assisto a un drastico calo del mio livello di empatia e mi chiedo se sia un bene oppure no.
Cioè, sto iniziando a costruirci una diga intorno per tenerla sotto il livello di guardia.
Alla fatidica soglia dei trenta, mi sono accorta che non è sano ignorare sistematicamente le frecciatine e/o i colpi bassi altrui, né giustificare sistematicamente le loro scempiaggini comportamentali. É come andare in giro con un cartello “Fottetemi : )” appeso al collo.
Spero di non diventare mai  quel genere di individuo Tyrannosaurus rex che attacca per primo o ti fa capire di sentirsi più furba e in gamba, tre cazzi e mezzo sopra  di te.
Però mi sono arresa all’idea che uno anche se non è capace o non vuole partire all’attacco deve  però saper giocare in difesa, per forza: «Se tu provi a mettermelo nel culo ti faccio vedere che lo trasformo in un boomerang e te lo recapito proprio lì dove pensavi di metterlo a me» o almeno a snocciolare la teoria del karma alle Vittime della propria sconfinata sensibilità: «A ogni azione corrisponde a una reazione. Se il risultato è questo prova a farti un paio di domandine su come cazzo hai agito prima. Auguri!».
Intanto che digito queste cose continua a venirmi in mente una dichiarazione di Courtney Love: «Il cinismo è il male», che continuo a condividere al 100% - e mi chiedo se non cozzi con la mia forma mentis in fase di restyling -.

Magari uno inizia con le osservazioni che sto facendo io e poi si ritrova trasformato in un ibrido tra Adolf Hitler e Crudelia Demon. Aiuto!

sabato 3 agosto 2013

Aggiustatina al look: senza via di scalpo

Indiano metropolitano - attualmente gli invidio la sobrietà del look
La prossima volta prima di andare a dire a un parrucchiere «look  vistoso e eccentrico» e incoraggiarlo con «sentiti libero» e l’onnipresente (mannaggiamme) «vai sereno!» ricordatemi di tagliarmi la lingua altrimenti esco dal salone versione mutilata tricologica.
A mia discolpa posso però dire di aver richiesto un taglio a bassa manutenzione e mi è stato tuttavia via rifilato – per il mantenimento della piega  -  un condimento lu$$o per chiome a base di sale marino  che, se non mi faceva lo sconto, sforavo anzi sfondavo il budget mica da ridere.
Marcocuzzulo poi viene a recuperarmi e fa una faccia tipo la decapitazione ti avrebbe valorizzata di più e per un attimo temo che provveda lui stesso a attuare il restyling col coltellaccio da cucina, una volta rientrati a casa.
Vabbè, io son del parere che un parrucchiere col porto di forbici farà sempre quel cazzo che vuole, quindi tanto vale lasciarlo fare.
Che poi, con la fila chilometrica di gente più o meno capellona che si snodava in attesa, certo che uno si mette a tagliare in modalità René Ferretti.
E tu sei lì che aspetti e  sfogli il non plus glamour delle riviste che strabordano di pseudo/ para / semi / post  guru dello stile, persone che vedono gente e fanno cose e pensi che tu non fai né uno né l’altro, tanto meno permetterti i capi sartoriali immortalati nelle patinassimo pagine di pubblicità.
Allora, che fare?
«Massì, almeno un po’ di coolness nei capelli». Così indebolita e resa influenzabile dal proprio senso di anonimità, qualunquismo estetico e mediocrità stilistica una si lascia fare qualsiasi cosa, anzi istiga il parrucchiere a osare nella speranza di aggiudicarsi qualche punto personalità&figaggine da sfoggiare nel centro di Milano. Qualcuno (Marco) definisce il fenomeno crisi hipsterica, basta mettersi comodi, passarsi un dito nella cresta punk anni ’80  che incombe sulla sommità centrale della zucca e aspettare che si plachi.
Tanto tutto passa, e se agli uomini i capelli cadono alle donne ricrescono come alle lucertole rispunta sempre la coda mozzata. 

domenica 28 luglio 2013

Il Divino Romanzo, - L'apostolo - di Sholem Asch


 Per citare Carlo Coccioli: Di cosa può parlare un libro, se non di Dio?
Un po' come i Ray-Ban e la bandana e il golf anche Paolo di Tarso è considerato decisamente di destra, un personaggio un attimo ostico e spigoloso. Tuttavia  c'è un romanzo che ha pubblicato Castelvecchi da poco e che  illumina un'attimo meglio la sua figura un po' fosca e cupa.
Si intitola l'Apostolo e l'ha scritto un certo Sholem Ash, che dopo una ricerca online ho scoperto essere stato uno scrittore yiddish, molto famoso nella prima metà del secolo scorso.
(A questo punto s'impone una parentesi: come fanno certi romanzi così imponenti, ambiziosi e magnificamente scritti a cadere nel dimenticatoio fino a quando qualcuno non li ripubblica?)
.
Si tratta di un libro stupendo  e dovete assolutamente leggerlo, sia che amiate i romanzi storici, sia che siate credenti e praticanti e abbiate quindi una certa familiarità liturgica con le epistole del protagonista. Se poi siete entrambe le cose dovreste già stare correndo verso la libreria o la biblioteca a richiederlo.


É da quando ho memoria che sento leggere le sue Lettere dal pupito, ma questo romanzo mi ha catapultato con forza nella Gerusalemme dell'immediato d.C - post ascensione - aprendomi gli occhi su tutta una serie di questioni che non avevo mai considerato, grazie a quella che mi è sembrata una signora opera di contestualizzazione. Ad esempio, il rapporto tra Gesù e l'ebraismo: se Cristo completa la Legge, come può volere che i suoi precetti vengano ignorati?
Paolo  introduce un concetto molto di sinistra come quello dell'ecumenismo, per cui si batte con la forza missionaria di un profeta. Ecco, tra i grandi meriti del romanzo c'è anche quello di aiutare il lettore e/o cattolico contemporaneo a superare superficiali dicotomie tra Chiesa di destra e di Sinistra. L'unico rovello di Pietro, Paolo e tutti i primi discepoli è quello di interpretare correttamente gli insegnamenti del Signore e di agire in modo conforme alla sua volontà. Questa trepidazione e l'energia spirituale che anima le pagine fanno del libro una lettura preziosa confezionata in una prosa davvero lucente, c'è da fare tesoro di entrambe. Forse la mia esperienza delle Letture in chiesa non sarà più uguale:dalle Epistole è stata soffiata via un sacco di polvere.

domenica 14 luglio 2013

Parliamo di moto ( e non diquello astrale né su due ruote)



In un film, di alcuni anni fa Le chiavi di casa, quello ispirato a Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, c’è una scena che trovo super commovente: quella del ragazzino handicappato che gioca al Game Boy. Mi rievoca l’infanzia: quand’ero piccina e la mia mano destra era un po’ più collaborativa ricordo infinite partite al Nintendo 64 con mia sorella, e i crampi alle dita post gameover, devastanti, ma che non mi hanno fatto mai rinunciare a una giocata.
In cima alla hit parade dei miei rimpianti futili, insieme a un paio di scarpe lucide col tacco e una tote bag ci stanno XBox e Playstation.
Quindi, appena approdata nel luccicante lunapark dello smartphone (meglio noto come Google Play), sono stata risucchiata – oltre che dall’inevitabile Ruzzle anche nel vortice di Fruit Ninja. Ma proprio una cosa che chi non mi ha mai vista giocare non ha idea.
Giocare con una mano sola è faticoso (dal momento che non puoi tenere fermo il telefono devi  tenere il dito incollato allo schermo mentre il cell scivola in lungo e in largo sul tavolo) e richiede uno sforzo notevole al collo. Immaginatevi la sottoscritta che fa scorrere su è giù  l’indice sul monitor, con il collo proteso a mò di giraffa spastica in tensione e le pupille dilatate per la concentrazione.

Scene della vita domestica: Lo sciò e i record
Sto giocando, sento la chiava che gira nella toppa è Marcall center che rientra e mi saluta:
«Ciao Amore :D»
«’Ao… Azz m’è sfuggita la banana»
«Ma lo sai che oggi ho visto in piazza Duomo, un assembramento di olgettine che esibiva un allevamento di porci con le ali, in attesa di essere ricevuta dal Cardinal Scola che…»
«Mmm… interessante»
«E c’era Pisapia un attimo perplesso che si domandava se dopo la doggy bag  per le cacchine dei cani è il caso di suggerire la piggy bag, quando a un certo punto… »
«Scusa amore, ma non ti sto proprio seguendo, casso l’anguria!!!»
Marcoccola si china per abbracciarmi, e lo stringo facendo passare il cell sotto l’incavo del suo braccio. Lampo nel mio sguardo
«Combofruit da quattro!!!! Idolo, amore mi fai un applauso?»

 Mi rendo conto che affettare pere , manghi e angurie virtuali non è nemmeno un gioco vero e proprio, ma solo un passatempo, in certi momenti anche un po’ del cazzo. Sono eterodiretta da una specie di ipnotico incantesimo affetta banane. Perché in certi momenti, quando batto i miei record mi fa stare benissimo. Credo sia una cosa che abbia a che fare con le endorfine. 
Ieri mi è venuto in mente che forse potrei sentirmi altrettanto yeah praticando una qualche disciplina sportiva – un pensiero che non avevo mai formulato in vita mia . Da nevrotica pignola cronica quale sono l’idea di fare qualcosa di fisico come ci riesco – e cioè  a cazzo di cane spastico – fino ad ora mi ha dato ai nervi.
Quando qualche tempo fa Marcoach mi ha proposto di iscriverci alla piscina a casa l’ho mandato a sguazzare in una pozzanghera di mavaffa e levatelo dalla zucca sempre più stempiata.
Anche se rimango ferrea nel mio no al nuoto può darsi che a breve mi apra a nuove, dinamiche possibilità sportive…

Forse il cambiamento ha qualcosa a che vedere con il punto 14) dell’elenco stilato in questo post.
Ah, La grande crisi dei Ventinove
… Ma secondo voi che fa una spastica quasi trent’enne che non ha mai praticato altra disciplina che la corsa alle vetrine, il tuffo nella vaschetta di gelato o il sollevamento del libro, in cosa si butta? Darmi all’ippica come feci all’età di otto anni in città è un arduo: qualcuno ha consigli in merito?

sabato 6 luglio 2013

Raggi ultraviolenti: dolori che trafiggono il collo e un pizzico di sana (?) ispirazione



Dopo più di due anni,  mi rendo conto che in ambito creativo è tornato il sereno, anche se si sono scatenate cervicalgie devastanti.
In attesa di tempi migliori e meno dolenti, sto leggendo Il mestiere dello scrittore di John Gardner con la sensazione che sia il libro giusto al momento giusto.
Fa venir voglia di organizzare una seduta spiritica e evocare lo spirito dell’autore per farsi dare qualche buon consiglio extra e una pacca di incoraggiamento.

Qualche mese fa avevo scritto che mi era riaffiorata l’ispirazione, oggi sono abbastanza sicura di aver messo a fuoco il personaggio di cui mi piacerebbe raccontare, una persona secca e perfida, così cattiva che farebbe tremare come foglioline indifese la matrigna di Biancaneve  e l’orco di Pollicino. Una cattiva pura, una che se la strega di Hansel & Gretel ci mette troppo a far ingrassare il pupo o non rispetta gli obbiettivi mensili di selezione, cottura e messa in vendita sul mercato di carne umana fa in modo che la fiabesca megera si licenzi in tronco, senza star troppo a sindacare.
Ci sono persone che passano nel tritacarne il prossimo per frustrazione personale, per inconsapevolezza, perché credono che questo gli giovi in qualche modo nella carriera, in amore o nella vita; altri lo fanno perché credono di rafforzare l’indole della tenera vittima o perché proprio non se ne rendono conto.Ma pochi, pochissimi lo fanno animati da una sincera e genuina volontà di perseguire il MALE puro, consapevolmente votati alle Forze Oscure dell’entropia e dell’annientamento totale. Mi sorprende continuare a ruminare su questa questione al punto da intasarmi i neuroni.
Io, che qualche anno fa, avevo trascritto da un libro:

«Non ci sono zone d'ombra nella realtà: nessun cuore è impoetico e morto: se un grande scrittore penetra nell' animo più convenzionale, vi troverà tesori di freschezza, di allegria vitale, di estro, di fantasia, e finirà per innamorarsene come se stesse rappresentando il principe Andrej o Stravrogin» (P. Citati, Tolstoj)


Sarà  che sono una scrittrice piccina picciò ma negli anni ho iniziato a dubitare del fatto che nessun cuore è impoetico e morto: molti brulicano di strisciante meschineria, un po kitsch.  Qualcuno invece pulsa dell’oscura e purissima luce del male, o almeno ho iniziato a pensarla così, con tanti saluti al mio sincero cattobuonismo e all’indole da Polyanna appena un filo pulp.
Magari è una stronzata ( ricordati vecchia mia, ci vuole fiducia!) ma il tema mi sembra interessante e si merita – forse - la possibilità di un approfondimento un attimo più articolato. Che ci guidi e ci protegga  il Virgilio dei narratori insicuri nelle bolge dei ripensamenti e delle crisi di autostima.

domenica 30 giugno 2013

Habemus smarthpone!



«Se ciò che ti circonda non ti piace, cambialo» recitava un vecchio slogan.
La tecnologia contemporanea offre un'alternativa più easy: «Se la realtà non ti piace aggiungici un filtro Instangram». Un tocco di hipsterismo,  che illumina e avvolge di una patina indie la banalità quotidiana da postare  al volo – carpe diem – su Facebook.
Tutto questo potenziale di lirismo mobile dà da pensare sulla quantità immane di comunicazione, narrazione, e poesia che si può produrre in maniera estemporanea.
Tanti saluti all’arte dell’antichità che veniva scalpellata sui feldspati con sudore e fatica: oggi basta un click sul cellulare e si liberano sul web una miriade di suggestioni – tipo le foto a latere della SdV -.
Frammentarie – è vero – ma perché cimentarsi con la fatica di un grande romanzo quando a portata di polpastrello hai la possibilità di pubblicare tutto quello che vuoi? 


La risposta ce l’ha data nel 1847 il solito buon Balzac che in La cugina Bette ritrae perfettamente l’artista aspirante Canova ma privodi volontà nella figura dell’ambizioso sculture che:

 «parlava mirabilmente di arte, era sempre, agli occhi dell'alta società, grande artista, per il modo di parlare, per le sue spiegazioni critiche. Ci sono delle persone di genio a Parigi che passano la loro vita a parlarsi e che si accontentano di una specie di gloria da salotto».

Sostituite Parigi con Milano e i salotti con i social network, i Navigli e le app creative, e forse sarete d’accordo con me che Balzac aveva previsto l’aria culturale che avrebbe tirato negli anni 10’ del XXI secolo con il ritrattino sagace di  questo Wenceslas Steinbock  un grande scultore di piccoli oggetti. Perché l’atto del creare, ci ricorda il guru Honoré:

 «è una lotta sfibrante, temuto e insieme amato da quelle belle e potenti costituzioni, che spesso ne restano stroncate. Un grande poeta dei nostri tempi, parlando di questo lavoro terribile, diceva: -Mi ci metto con disperazione e lo lascio con dolore -»

Riuscite a percepire la lotta in uno scatto e in una didascalia di una manciata di caratteri da condividere al volo con amici, nemici e contatti?
Ti senti supercoolissimo, ye ye al cubo e ti volano via le ore che manco te ne accorgi. Come ammonisce ancora HdB:

«Dei grandi artisti, come Steinbock, divorati dall'immaginazione, sono stati giustamente chiamati sognatori. Questi mangiatori d'oppio cadono tutti nella miseria, mentre, sostenuti dall'inflessibilità delle circostanze, sarebbero stati dei grandi uomini».

Cerco quindi di non farmi risucchiare dal potenziale social del mio smartphone (tra l’altro oneroso come un bebè con le sue richieste di cover e pellicole antimpronte e piani dati) che ha mandato in pensione il mio vecchio sillypone perché a catturare attimi son capaci tutti, ma la vera sfida riservata a pochi è di disporli in una qualche trama. Se me lo dimentico, ricordatemelo, please (via sms, Fb, piccione viaggiatore o scapelotto sul coppino).

domenica 23 giugno 2013

Feroci invalide domiciliate nel paese caldo



Con quest’afa umida e appiccicaticcia ci si corica sperando di non passare dallo stato solido allo stato liquido nel corso della notte. Marco ormai è rassegnato a ridursi in vapore acqueo entro mezzanotte.

A volte mi sveglio nel cuore della notte e invece della sua testa mi ritrovo a fianco un paio di piedi:
inizio a sospettare la sua mutazione genetica in un allucefalo, poi mi rendo conto che si è solo girato dall’aria parte, per finire nella traiettoria di uno sparuto filo d’aria.

Che poi, le sostanze esalate da quel pestifero fornelletto antizanzare potrebbero davvero alterare i nostri geni: gli insetti non li tiene certo lontani dal momento che stamattina, spolverando dietro il divano letto Marcasalingo ha trovato uno scarafaggio che è corso a nascondersi le tra le cuciture.
Minimo me lo ritrovo stanotte sul guanciale che muove le sue amichevoli antennine (breaking news: la notte scorsa mi sono effettivamente imbattuta nello scarafaggio, che se ne stava quieto sul tappeto del bagno ed è stato tristemente finito da Marco a colpi di Crocks).

Nonostante le  sue due grandi finestre mi aggiro serenamente in mutande per la Scoreggia di Versailles, il caldo scioglie anche qualsiasi residuo di senso del pudore. Se qualcuno riesce ad adocchiarmi le tette – già minuscole di loro - a così grande distanza e senza cannocchiale né lenti di ingrandimento, potrei anche gridare al miracolo o – in alternativa – convincermi che sia Superman in persona a passarmi ai raggi X.

lunedì 17 giugno 2013

Leggi Napoli e poi scrivi?


Nella pigra conversazione del dopocena salta fuori il discorso su Ovidio, che è uno smagliante aspirante scrittore.
Uno che la passione per la scrittura la sente così forte che è andato a vendere i propri romanzi porta a porta. Un tale slancio missionario, col cazzo che ce l’avrei.
Scrive, legge, collabora, instaura legami, socializza con gli addetti ai lavori, bazzica nell’ambiente.
Eccetto le prime due, con le restanti attività non ho tanta dimestichezza.
Eppure, la capacità di creare rapporti in grado di cullare e far crescere un proprio progetto mi affascina.
Chi sostiene che si tratta di rapporti utilitaristici o leccate di culo non ha capito la perizia e la tecnica richiesti da questo tipo di pratica.
Intessere rapporti è un’arte nobile e invidio, invidio ferocemente chi eccelle. Per scrivere bene ci vuole costanza, fatica e lavoro ma per farsi leggere l’1% è ispirazione, il 99% azzeccata comunicazione.
Pure il romanziere e scopritore letterario Giuseppe Inferno ha detto a questo Ovidio: “Aspettiamo nuovi romanzi”. Ovvero, nuovi romanzi tuoi. E intanto il giovane Ovidio continua a scrivere e a intrecciare, infaticabile, rapporti e relazioni nel fertile sottobosco letterario.

Una routine simile richiede una rigorosa fiducia in se stessi.
Ma perché scrivere e soprattutto – farsi leggere – per alcuni di noi è un tarlo divorante?
Qualche giorno fa, dopo aver finito ZeroZeroZero (qui, nel mio scaffale Anobii la recensione) cercando info su Roberto Saviano ho scovato questo articolo di Alessandro Piperno, che osserva

«Il desiderio di essere amato, la competizione, la richiesta continua di protezione e di riconoscimenti, la suscettibilità. Tutto questo fa di Saviano un suddito onorario del regno di Edipo.
“Mia madre è una donna bella con un carattere da colonnello che si è ammorbidito con gli anni. La mia vita è stata il tentativo di dimostrarle che ero meglio di quello che sembravo. Temo mi considerasse una specie di intellettuale inconcludente”».

C’era anche una scena in una puntata de Il Testimone di Pif che mi è sembrata illuminante. Nel reportage dedicato a Saviano e al suo ritorno a Napoli per presentare il nuovo libro, lo scrittore sale sul palco sotto la luce di una luna stupenda, accolto da un applauso così caloroso che sono venuti a me gli occhi lucidi. Sembrava un abbraccio.

E forse è per questo che alcuni di noi provano così disperatamente a scrivere. Per un’ingenua ma irrinunciabile speranza che gli altri possano vedere per un attimo il mondo come lo vediamo noi. Non che la nostra prospettiva sia migliore, ma forse ad animarci è l’urgenza di sentirci capiti. Perché siamo convinti di avere da dire qualcosa che valga la pena di raccontare.
Anche se quando proviamo a dirlo a voce ci seccano le parole in bocca e ci sentiamo goffi, isolati con idee appiccicaticce che non riusciamo a toglierci dalla testa.

Si scrive per riscatto?
Si scrive come si va alla rivoluzione?


Circa a 2/3 del romanzo Il resto di niente di Strano dopo la condanna del patriota Emanuele De Deo a Napoli nel 1794 si riflette:
«Quali sono le motivazioni dei ragazzi? Perché un giovinetto intelligente, di famiglia agiata, lasciato solo e libero a studiare nella meravigliosa città, invece di godersela, la vita, in una Napoli così bella, profumata, preferisce chiudersi nei salotti fumosi, sciupare il tempo in discussioni oziose? Giocare alla politica, per cambiare un mondo che nessuno sa se potrà mai diventare nuovo?»
Il salotto fumoso di chi scrive si riduce a un tavolo col portatile appoggiato sopra per fare una partita a letteratura.
Strano poi, continua:
«Certi ragazzi sono come Dio, generosi e sciocchi. Si costruiscono in testa le immagini orgogliose di d’un mondo, s’incapricciano a dargli vita: appagano in ciò brame d’infinito amore?»
Forse.

Ma questo è solo un aspetto della verità. Per quanto riguarda il mettersi a scrivere per quel che ne so c’è anche qualcosa di più comico, immediato e liberatorio.
Il microscopico, salvico quotidiano.
Per lavoro – quando mi va proprio di lusso – ho a disposizione una ventina di righe creative al giorno per presentare un prodotto o – più spesso – un servizio. Dal momento che prodotti e servizi si ripetono con il passare del tempo diventa difficilissimo scrivere qualche riga davvero creativa ed efficace per ognuno: poi, di solito si lavora col fuoco al culo e non ci si può permettere di dedicare troppi minuti a congegnare qualcosa di davvero divertente: il tempo stringe e i refusi son sempre in agguato. Si rischia di diventare meccanici e ripetitivi, il lavoro è faticoso.

Eppure ogni tanto ci si toglie lo sfizio di abbandonarsi a un guizzo di entusiasmo. A volte mi capita di vedere chi corregge quello che ho scritto mettersi a ridere. L’onda di una risata che per un attimo travolge un volto, concentrato, tirato e teso.


Uno scroscio di liberatoria allegria che strappa un secondo di euforia al collega che potrebbe essere l’unica persona che legge il mio calembour messo insieme in quattro e quattr'otto. Per una persona ormai poco incline a cercar di entrare nel giro, quella sghignazzata furtiva, quando arriva, è tutta la mia pacca sulla spalla degli addetti ai lavori. L’epifania di uno dei sensi della letteratura anche di quella infima: un ludico momento di esilarato sollievo.

domenica 9 giugno 2013

La testa tra le nuovolette: Ancora sul manga di Inio Asano + Varie ed eventuali


«Comunque sia... un fumetto dev'essere interessante e divertente, sono requisiti fondamentali.
Il mondo è brutto, i lettori vogliono sentimenti positivi e facili da comprendere (...) Non ho detto che sia sbagliato che l'autore si riveli attraverso la sua opera. Solo che... alla  maggior parte delle persone non interessa affatto... conoscere quello che provi tu, so che speravi il contrario».

Così parlò il redattore della casa editrice a Sachi Nanjo nel  nono volume di Buonanotte, Punpun. Questa parte metafumettistica del manga che si sta sviluppando negli ultimi numeri mi piace tantissimo. Questo aspetto della trama inizia a acquistare consistenza quand,o nell'uscita precedente, Sacchan svela a Punpun i suoi intenti «Non un manga che ti fa dimenticare la realtà. Bensì un manga che ti permette di combattere contro la realtà!!».
Che nella sceneggiatura  di un manga imperniato sull'impossibilità di comunicare con gli altri suona come un bell'invito alla rivolta. 


La nipponisàscion della sottoscritta sta diventando sempre più frenetica e incontrollabile, accompagnata dall'adeguata (?) colonna sonora.



Per affinità di suggestioni geografiche avrei dovuto aggiungere anche Siamo al centro del mondo degli 883, ma in realtà tra le canzoni di Max Pezzali  che ultimamente ascolto in loop c'é La donna, il sogno e il grande incubo, brano dall'estetica poco nipponica e molto più bonelliana, ma che per qualche motivo mi fa sempre pensare a Katy Verija, forse perché qualche volta compare con la sua faccia secca e rapace nei miei sogni più inquietanti (una volta addirittura mi dava ripetizioni di matematica!), così mi sveglio in preda a un sudato batticuore.

Credo che tra me e Dylan Dog ormai il passo sia breve. Ormai me lo ripeto in ogni mattina di abbagliante isolamento:
Quando si sono scartate tutte le soluzioni razionali, rimane un solo campo d'indagine: l'incubo e dintorni.
Perché non mi prendo un paio di occhiali da sole? Perché?