martedì 22 gennaio 2013

La solitudine delle #categorieprotette

«Questa festa è insoddisfacente
Ma ne ho un'altra
Nella mia mente
»
                           EEST -  Tapparella

Leggevo in Le vite di Miguel De Cervantes  che Il Don Chisciotte è forse il più allegro di tutti i romanzi tristi. Un po’ come  me, anche se non sono un romanzo.

Questo weekend sono andata con Marchionnolo a trovare i suo amici bolognesi che non vedeva da un sacco di tempo, ed il calore del loro ritrovarsi come se si fossero lasciati il giorno prima mi ha molto colpito. Lui e il suo omonimo Marco sono amici fin dall’adolescenza, legati pare dal sentimento comune di sentirsi 2 outsider, o - più prosaicamente-  2 sfigati. Capita che questi legami  quando uno poi fa il salto di qualità e trova una ragazza o il giro figo l’amicizia di sfilaccia. La loro invece è rimasta solidissima cementata da convivenza universitaria e militanza in Emergency, malgrado le centinaia di km che attualmente li separano. Sono amici da oltre quindici anni.

Ho fatto mente locale, e ai miei amici più vecchi non li conosco da più di 5-6 anni. Senza contare che ho perso, nell’ultimo anno, anche gente a cui ero legatissima senza sapere perché. Penso di essere condannata alla privazione amicale perenne.
Marco dice che sono ingiusta. Che Beerman gli ripete sempre di farmi uscire e che Aga passa sempre a cercarmi. Sono io che sono diffidente.
In un certo senso è come dopo una brutta delusione d’amore, quando per non soffrire più così tanto,  ti abitui a blindarti  in te stesso. Anche perché più passa il tempo e più mi sembra che davvero le persone sane siano incapaci di comprendere gli  ineludibili problemi di una vita da handicap. Come una specie di barriera protettiva:«Non posso credere che una persona riesca a sopportare tanto dolore, tanta discriminazione, tanta cronica  mancanza di prospettive, quindi mi convinco che non esista niente di tutto questo, almeno in proporzioni così colossali».
Mi chiedo se anche la mia (quasi) leggendaria  temeraria bontà, autoironia  e comprensione verso le debolezze umane non sia altro che una sorta di incentivo che offro agli altri provare a bypassare il dolore, la discriminazione e la cronica assenza di prospettive di cui sopra. L' handicap che arranca a fatica in tutta la sua cuteness.

E quando io vacillo, e l'invalidità civile si trasforma in disperato scoramento, le persone intorno spariscono e quelle che non possono sparire titubano, tentennano e raffreddano il rapporto cristalizzando gli scambi in un'ostentata normalità. Quando ero piccina inseguivo questi neoghiaccioli giganti, li rincorrevo e li pregavo di sciogliersi un po'. Ora che sono adulta e oberata dalla vita, le lascio andare, («Ma sì, surgelati e vai a ciuccarti il bastoncino anche te») anche se meno serenamente di quanto vorrei.

Però se tedendete bene l’orecchio sentirete che in tutto questo c’è più di una nota, forse un’intera sinfonia silenziosa di rimpianto. Che tot di tristezza cervantiana, ahimè!
 

sabato 12 gennaio 2013

Lei è tornata, forse



Da qualche parte in Limonov di Le Carrère si legge che un buon bolscevico è quello a cui se gli viene detto che una cosa bianca è nera aderisce a questo diktat e se ne persuade intimamente. Questa,signori, è l’essenza del totalitarismo.
In settimana mi è successa una cosa analoga: mi è stato chiesto di dichiarare che una cosa nera come le abnormi orecchie di Topolino era in realtà candida come le piume sul culo di zio Paperone.
Ho dovuto fare buon viso – in gergo lo si chiama faccina di culo – a cattivo gioco ma in cambio ho sentito una scarica di ispirazione attraversarmi la spina dorsale. Potente come la deflagrazione di una scoreggia nel cuore della notte. Qui, gente si sta concependo un  Post Office 2.0. Anzi no, concepire è una parola grossa, diciamo che avverto una decisa spinta propulsiva a buttar giù un paio di cose, e a buttarle giù in un modo fluido e cristallino, bello da leggere – alla faccia di Verja Catty -.

Non ce la facevo a non scriverlo ma questo discorso lo approfondirò con pochi interlocutori fidati e sceltissimi  tipo Beerman  e anche Davide, che per il momento non sanno ancora niente. Nemmeno Marco è al corrente, insomma nessuno sa un cazzo fino a quando questo post non andrà online.

Io ho bisogno – mentre scrivo – che qualcuno mi legga. Non ho abbastanza fiducia in me stessa, abbastanza autostima per scrivere e riscrivere decine di cartelle, editarle, lucidarle e poi dire a qualcuno: «Toh, leggi». Io sono una che alla seconda pagina si ferma, si allontana di mezzo metro dal monitor, scuote la testa e mentre inizia a sbatterla contro il muro si mette a urlare «Ma che fregnacce ho scritto?» e poi cestina tutto. Qui bisogna perseverare, resistere, essere i primi dissidenti di se stessi.

Decisamente la lettura della biografia di Limonov mi sta influenzando mica male. E pensare che l’ho comprato per caso perché era l’Offerta Lampo del giorno su Amazon attratta esclusivamente dal prezzo poco meno che stracciato. : «Manca solo che mi metto a comprare gli ebook a cazzo» mi son detta. E invece Limonov è una di quelle biografie potenti di scrittori di culto che espolodono come granata nel cuore degli altri aspiranti scrittori di culto.
Tra l’altro, Eduard Limonov è una specie di scrittore di culto – un Bukowski dell’ex URSS – suo malgrado. Pare che gli interessino solo la fama e la rivoluzione. O forse no. Del resto chi sogna di lasciare un segno nel mondo della letteratura, superati i 30 difficilmente è così naïf da sbandierarlo ai  quattro venti. Meglio passare per stalinista nostalgico nella Russia sbarellata di Putin.  

domenica 6 gennaio 2013

Le vilan c'est moi

Se non era per Marco e per il libro di François Place a quest'ora il mio fegato avrebbe già rassegnato le dimissioni da me. Sono arcimegastufamarcia di subire, di sucarmela con il sorriso sulle labbra.
Chi mi vuole davvero bene capirà che è una situazione difficile e mi starà vicino anche senza battute, ironia e momenti di umorismo non richiesto.
Chi non me ne vuole (o non me ne vuole abbastanza) se ne farà una ragione anche con qualche risata e in meno. Se mia nonna avesse avuto un reattore sarebbe stata una centrale nucleare e fossi pagata per far ridere la gente a quest'ora sarei tra gli autori del Letterman Sciò.
Mi dispiace che ti dispiaccia ma ti assicuro che a me dispiace molto di più.

Accidenti a questa cazzo di educazione alla Full Metal Categoria Protetta, fatti il mazzo tre volte tanto di un normodato, sii inflessibile con te stessa e indulgente con il prossimo e sopratutto fai tutto questo ridendo come il contadino della canzone di Jannacci

«Ma lui no, lui non piangeva, anzi, ridacchiava.
Ma sa l’è? Matt?
No! Il fatto è, che noi vilan...
noi vilan...
ehh sempre allegri bisogna stare,
ché il nostro piangere fa male al re,
fa male al ricco e al cardinale,
diventan tristi se noi piangiam»

Comunque, visto che non voglio rattristare i miei 2, 5 lettori torniamo al libro che dicevo all'inizio e che si intitola Il segreto d'Orbae e che è una favola di viaggio su cui soffia il vento del Milione di Marco Polo e qualche refolo delle Città Invisibili di Calvino, con un qualche folata- probabilmente - ispirata dai romanzi di Rabelais. L'autore poi illumina le descrizioni con una deliziosa sensibilità coloristica, che probabilmente gli deriva dalla sua esperienza di illustratore. Il romanzo, anche se si tratta di una storia per bambini, è di una bellezza consolante. Vorrei anch'io salire sulla groppa di un uccello marciatore per farmi portare via. (Ultimamente ho notato che i miei post si chiudono tutti con un'aspirazione alla fuga nelle meraviglie della narrativa. Come a dire: Sta' nella pagina che fuori è un brutto mondo).