domenica 22 marzo 2015

Il Regno di Emmanuel Carrère (più paraculo e succoso che mai)


Sto leggendo Il Regno di Emmanuel Carrère, che è a tratti brillante e in altri inutilmente provocatorio. L'ho visto in tv domenica scorsa da Fazio e, sentendolo parlare, ho pensato che hanno ragione quegli scrittori che sostengono come sarebbe meglio non conoscere mai i propri autori preferiti. Carrère è un belloccio di mezza età pienamente consapevole di esserlo e al 100% rispondente allo stereotipo dello scrittore francese borghese parigino nevrotico, con un sorriso superficiale (di sfida?) stampato in faccia, come il lettore abituale si immagina che sia durante le sedute col suo psicanalista, che riempiono una fetta così grossa dei suoi libri.

Quello che mi ha lasciato perplessa è stato il modo in cui ha parlato dei cristiani e del cristianesimo, con una spocchia che nelle pagine del libro non c'è proprio. Il libro è figo proprio perché spolpa le lettere di Paolo e il Vangelo di Luca con un approccio 100% esplorativo. Probabilmente  Emmanuel Carrère, quando scrive – e sono abbastanza convinta che lo faccia – prova a fare un po' a meno del suo lato saccente e petulante e almeno lì si sforza di essere un po' meno prevedibile.

Boh, magari si è accorto che Fazio non ha letto il libro e allora si è divertito a fare in studio la parte dello scandalizza-borghesi.

Non che ne Il Regno non lo faccia mai, eh. Tipo la parte che tutti hanno definito pornografica.

Mi son chiesta quanti l'hanno già letta, mentre se ne parlava. Io ci sono arrivata l'altra sera ed è praticamente il racconto di una serata in solitaria tipo su Youporn, dove lui descrive (spoiler) il momento di autoerotismo di una ragazza, che  immagina essere la tipica trentenne fighetta e di classe.

Sviscera e ricostruisce la situazione in modo che funzioni. Mentre leggi ti sembra tutto un po' morboso (com'è inevitabile che sia, alla fine) ma lui ci infila questa prospettiva sociologica che non ti aspetteresti e  rende tutto più interessante da leggere.

Un filo urtante è il punto in cui infila questa descrizione, che usa come cuscinetto tra due paragrafi dedicati alla Vergine Maria. Il furbacchione sapeva che tutti ne avrebbero parlato e che sarebbe finito in tutte le recensioni (anche di chi non ha letto il libro).

Le cose veramente interessanti e riuscite del libro sono altre: la ricostruzione del vangelo di Luca, della serie :  sono uno scrittore fighetto e alla moda e vi spiego come un fighetto alla moda del I secolo d.C. si è esaltato tantissimo con questa setta ebraica, come io mi sono esaltato con lo yoga.

Questo sì che è spiazzante mica il ditalino della tipa di prima.

È tutta la conflittualità che lui fa esplodere nel Nuovo Testamento, che  vede come una sorta di mega-battaglia tra Paolo da una parte e Pietro, Giacomo e Giovanni dall'altra, l'ingrediente che rende davvero provocatorio il libro. Poi c'è la figura di Luca, buon uomo e mediatore conciliante nel mezzo, che cerca di tenere insieme tutto. Prima lui si fa affascinare dalla teologia di Paolo e solo in un secondo momento si lancia alla scoperta della bio di Gesù, che apprende da chi Gesù Cristo lo aveva conosciuto da uomo e non a cose fatte, in modo mistico, come Paolo. Luca, che è una persona semplice e accomodante, rischia di passare per il tiepido di turno. Niente a che vedere con una personalità fiammeggiante come Paolo o quella di una misteriosa testa calda come Giovanni. 

Come aveva già fatto in Limonov Carrère ricostruisce il lavoro di uno scrittore come pretesto per parlare di sé e del suo lavoro di scrittore. Lui ha vissuto 3 anni da cristiano fervente commentando ogni giorno un versetto dei Vangeli e annotando questo percorso su una serie di quaderni di appunti che costituiscono lo spunto iniziale del libro. Ma già in quegli appunti si vede che pregusta il fatto di scriverne in seguito (e si capisce che lo sa benissimo) come se si calasse nell'esperienza religiosa per il puro piacere di scriverci un libro sopra, quando ne sarebbe uscito: il solito drittone.
Annotazioni che si chiudono con una delle frasi più magistralmente paracule che abbia mai letto: «Ti abbandono, Signore. Tu non abbandonarmi ». (p.101)

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