domenica 19 ottobre 2014

Gatti

Sono stata malata e stanca, anche in vacanza. Anzi, più in ferie che durante gli ultimi giorni di lavoro. E in Sicilia non ho finito di leggere un libro che fosse uno. La sera del mio arrivo mi è venuta l'emicrania. Ma io non sapevo che fosse emicrania. Sentivo un dolore all'occhio che si irradiava al lato sinistro testa. Per sette giorni di fila, ininterrottamente. Sono rientrata a casa estenuata.

Dopo una settimana di malattia sono rientrata in ufficio coi nervi a pezzi. Ancora adesso - e siamo a ottobre inoltrato - faccio fatica a concentrarmi su libri troppo lunghi e, anche mentre scrivo, adesso, fatico a strutturare le idee.

Vorrei tanto un gattino: accarezzare Pio,  il più placido dei mici di mia zia, mentre ero ospite a casa sua è stata l'unica cosa che mi ha fatto sentire davvero tranquilla negli ultimi mesi. Affondando le dita nel pelo o facendogli i grattini sotto al collo era se come la rigidità, il panico, l'angoscia che sento dentro ininterrottamente, all'improvviso si dissolvessero. Mi ha procurato un bel po' di autentico sollievo anche se molti considerano questo gesto infantile e, in fondo in fondo, supremamente egocentrico.

Era da anni che non provavo una frustrazione così intensa nel non poter fare qualcosa: non posso decidere di prendere un micio da sola perché non riesco fisicamente a occuparmene. Non posso nemmeno forzare Marco a affrettare i tempi se ora non sente il bisogno di prendersi cura di un felino.
Mi rendo conto che il mio malessere a causa di questa cosa può sembrare sproporzionato, ci sono molte altre cose che non posso fare per via della mia mano sifola (aiutarlo sul serio nelle faccende domestiche, tipo), ma questi ostacoli all'amico gatto li percepisco come un dolore atroce e ininterrotto...

L'ho già detto che capisco benissimo che può sembrare un discorso fuori luogo? 


Uno dei pochi libri che sono riuscita a finire nelle scorse settimane è stato La vita emotiva dei gatti di Jeffrey Moussaieff Masson e nel paragrafo in cui analizzava il rapporto tra coccole a un gatto e autostima mi è venuto quasi di piangere.

Ma non potresti fare le coccole a un bipede?

Non è che non ami Marco o non voglia bene ai miei amici, ma si tratta di una sensazione completamente diversa. Che per qualche motivo non riesco a innescare e riprodurre con gli altri esseri umani per quanto possa divertirmi, amarli e sentirmi rassicurata dalla loro presenza. E forse il gatto è una via di fuga, ma appoggiarmi su quei polpastrelli rosei mi dà una tranquillità impagabile e luminosa.






domenica 3 agosto 2014

Fantasmi. E Giornalismo

Ieri ho letto su Internazionale di 2 settimane fa un articolo che mi ha colpito così tanto, Nella terra degli spiriti, di tal Richard Llyod Parry, che anche mentre facevo altro mi tornava in mente improvviso come l'apparizione di un fantasma.

Date un occhio all'estratto della versione originale dell'articolo qui:  parla degli spettri e dei fantasmi che infestano la regione giapponese del Tōhoku da quando lo tsunami  l'ha colpita 3 anni fa. Sono anime di persone morte, travolte dalle onde o colpite dai detriti che non riescono a trovare pace se non dopo offerte, attenzione o preghiere dei monaci e a volte si insinuano addirittura nel corpo degli abitanti del luogo: una roba tipo la trama del romanzo Un' inquietante simmetria di Audrey Niffenegger.


A differenza delle vicende di fantasmi che siamo abituati a sentire, quelle raccontate nel reportage non erano le vicende di uno spettro isolato e antico, ma di una vera moltitudine - uomini, donne, bambini, animali domestici - e di creature nostre contemporanee, non vissute decenni o secoli fa.
Così tanti e così vicini.

Chissà perché non si è mai sentito parlare dei fantasmi, per dire, dei campi di concentramento. Forse perché il loro ricordo é vivo e questo li ha placati? Ma se pure il ricordo della loro morte è vivo, possiamo dire lo stesso di loro come persone? Di ogni persona uccisa: ebreo, dissidente, handicappato, gay? Ho immaginato il pallido, debolmente fluorescente ectoplasma di un bimbo down fatto fuori con i primi esperimenti di Zyklon B che deve aggirarsi da qualche parte della Germania, con gli stessi occhi a mandorla dei bimbi giapponesi uccisi dallo tsunami nel 2011. Il che mi ha suscitato un'inondazione di tristezza, ma anche la solita smania curiosa che mi prende quando qualcosa mi colpisce molto.

E mi sento grata al giornalismo, che io faccio spallucce e ogni tanto dico che il giornalismo non mi interessa, meglio i romanzi, ma poi leggi reportage coi fiocchi, come quello del signor Richard Llyod Parry e allora  ti  dici: «Che cazzo, non ho capito una minchia». Con le storie di quelle persone che sembrano protendersi per uscire fuori dalla pagina come fa a capitarmi di pensare che il giornalismo è solo un resoconto di fatti?

domenica 20 luglio 2014

La vita sessuale delle gemelle siamesi mixed by La dura legge del gol

Sto leggendo La vita sessuale delle gemelle siamesi di Irvine Welsh e boh, ogni volta che esce un suo libro, non so perché per me è come se fosse il mio compleanno o il 31 dicembre nel senso che mi vengono da fare un sacco di bilanci esistenziali e cose così.

In questo romanzo non c'è un grammo di droga, l'ambientazione non è la Scozia ma la soleggiata Florida, ma i personaggi sono i soliti personaggi tormentati e incazzati alla Welsh, con i loro traumi e le loro dipendenze che in questo caso si chiamano fitness o cibo.

Avete presente quei programmi che trasmettono su Real Time dove una coach cazzutissima fa il pressing emotivo su una donna obesa per farla dimagrire? Ecco la ciccia della trama è quella, con in più una componente omosessuale e la storia (appunto) di due gemelle siamesi  ma  questa è vista da lontano e fa capolino solo ogni tanto così non mi è ancora chiaro cosa ci faccia lì.

Mi sembra sempre che il vecchio Irvine le cartucce migliori se le spari per le storie di Renton e soci (vedi Skagboys), ma questa storia dell'ambientazione fighetta americana è una cosa che non ti aspetti, ed è bello vedere come si indaghino le stesse dinamiche di ossessioni e dipendenza in un contesto differente da quello abituale dei suoi romanzi. Vediamo dove va a parare.

(I bilanci a cui facevo riferimento all'inizio hanno a che vedere con ipotetici romanzi su cui si allungano ombre inquietanti, tipo: si può scrivere un romanzo distrutti dalla cervicale?)

Come al solito d'estate sto mediamente di merda, devo dormire un sacco e ieri mentre ascoltavo La dura legge del gol mi è venuta una fitta di nostalgia per una mia amica bionda che non sento da almeno due anni. La solita esasperata sensibilità adolescenziale fuori tempo di 15 anni. Mah!

domenica 13 luglio 2014

Prendi i soldi e corri a meditare!

Ieri mentre mi aggiravo, più spastica che mai in libreria, mi sono rimessa a pensare che, da lettrice, quel che distingue un vero romanziere è udite udite l'uso del passato remoto. Che pensata ottocentesca, eh? Eppure, nell' inconscio è un'idea radicatissima.

Poi, mi è capitato tra le mani un libro di fantascienza, un romanzo  d'esordio semplice e senza pretese, e mi son ritrovata a pensare che se non hai affinato abbastanza la bravura del vero romanziere, il passato remoto rende ancora più artificoso e pretenzioso un romanzo: si vede proprio che è una storia, magari anche avvincente, ma aletteraria.

Per questo ho paura di usarlo.

Nelle prossime settimane mi tocca rimettermi a scrivere perché voglio partecipare a un premio letterario riservato alle persone con disabilità,  con l'obiettivo di allungare la mia spastica manina sul primo premio di 500 Euri.
L'idea è quella di istituire un fondo cassa per un viaggio in Irlanda o più probabilmente di pagarmi le lezioni di yoga.

Dal momento che concorro solo per soldi, ho già bene in mente di cosa scriverò ( ormai sono una scaltra operaia dell'industria dell'intrattenimento), mi rimangono un paio di dubbi sul taglio da dare e sul tempo verbale da usare. Boh, magari mi cimento, con 'sto benedetto passato remoto.

In realtà penso anche che quel che vorrei scrivere adesso sulla disabilità è un saggio su Pinocchio e sui falsi invalidi il gatto e la volpe, e poi sul dolore lancinante del mio primo contratto non rinnovato, che anche se sono passati anni, ogni giorno che passa son sempre più convinta di non aver affatto superato la cosa: ogni tanto mi viene ancora in mente il produttore del programma che sotto Natale era passato in redazione per sbaciucchiare le mie colleghe e a me non aveva neanche stretto la mano. Che lo yoga ci aiuti!

domenica 6 luglio 2014

Il complesso di infimità

Il Talmud dice che il Giorno del Giudizio ci verrà chiesto conto di tutte le volte che avremmo potuto divertirci e non l'abbiam fatto. Di conseguenza,  mi sono già immaginata trilioni di volte il Signore Iddio che mi agita l'indice sotto al naso e mi fissa con lo sguardo di chi vuol mangiarti la faccia: «C'erano i cappellini e le trombette di carta, le stelle filanti, la Coca Cola, Brigitte Bardot-Bardot, la birra e anche un tiro di canna per  chiudere in bellezza, ma tu niente. Sempre lì vigliaccamente a cercare il mondo, di non scontentare parenti, amici, capi, colleghi, mamme, fidanzati, la commessa della Feltrinelli che s'incazza perché dice che il titolo che le hai chiesto non è disponibile in italiano e non era mica vero. Se uno strazio patetico. Una noia infinita. Già con le mutande abbassate prima che te lo mettano nel culo, nella speranza che ti facciano meno male. E non hai mai dico MAI capito che così il prossimo tuo si sente autorizzato a infierire ancora di più, a darti la rispostaccia che non si permetterebbe mai di dare ad anima viva, morta o X».

Ok, anche il fatto che in questo mio film mentale abbia trasformato Dio, Padre amorevole, nel mio Super Io spietato, la dice lunga sul mio complesso. No, non è un complesso di inferiorità. Il mio è un complesso di infimità. Qualcuno mi aiuti. Perché l'estate, l'afa, il caldo mi fanno sentire una scoreggina che ondeggia sulle due gambine, ancora più fetida.

E no, caro lettore. Non funziona se mi dici di fregarmene. Perché, caro lettore, come reagiresti se me ne fregassi proprio di te?


Vi ricordate di Edna 'O Brien e della sua trilogia di cui ho scritto qualche settimana fa? Ieri, alla Feltrinelli, dove la commessa mi ha risposto che Il libro di George Sand non esisteva in traduzione italiana, quando invece l'aveva pubblicato proprio la Feltrinelli  (e non ho avuto il coraggio di dirglielo!!!) ero indecisa se comprare un manuale di autostima, cosa che non ho fatto  perché avevo paura di far incazzare e/o preoccupare Marco. Poi da uno scaffale di letteratura ho visto Country Girl,  l'autobiografia di Edna 'O Brien, che mi fissava. Allora ho preso quella, insieme a Grandi Regine di Roberto Piumini e Santa Barbara dei Fulmini di Jorge Amado, perché 'sta settimana avevo un po' di soldi extra. Mi immagino sempre la scrittura della'O Brien come una fantasia a righe rosa e grigie, senza pretese, ma genuina, e proprio in questa rosea autenticità sta la sua forza e la sua grandezza consolante.

domenica 29 giugno 2014

Scusate il ritardo, ma io so perché l'Italia ha perso col Costa Rica

In questi giorni c'ho l'occhio sguercio, il sinistro, ancora più sifolo del solito, quindi la settimana scorsa non son riuscita a aggiornare il blog. 'Sta settimana il mio occhio sguercio è ancora ugualmente sifolo, ma due righe le devo assolutamente scrivere.

Tipo che il giorno di Italia- Costa Rica ho capito che non puoi sapere mai davvero tutto delle persone con cui dividi la tua vita. Arrivo a casa dal lavoro e mi precipito tutta trafelata ad accendere la tv per seguire la partita, ma siccome son così sudata che mi sento appiccicare alla sedia decido di alzare un po' il volume e di andare a farmi una doccia.

Nel mentre arriva Marcalciofregancazzo, a cui dei Mondiali non frega una benamata minchia.
Io son sotto la doccia, e della telecronaca non riesco a sentire un cazzo. Allora a un certo punto spengo l'acqua e gli faccio: «'Moreeeeeehh, a quanto sono?». «1-0 mi sembra per l'Italia». Nel frattempo sono uscita e mi sto asciugando, quando lui formula la domanda più incredibile, nella storia delle domande incredibili e mi fa: «Scusa Gloria, ma quanto dura una partita di calcio?».
Per un attimo il mondo si ferma. Anche le goccioline d'acqua sui miei capelli smettono di cadere per la sorpresa.Poi, il boato della mia risposta:«Ma 90 minuti, no?!».

Finisco di asciugarmi e torno nell'unico locale del nostro monolocale, chiedendomi com'è che, quando l'Italia ha segnato, non il nostro palazzo non ha vacillato per le grida e le manifestazioni di entusiasmo. Allora scopro quello che il resto del mondo già sapeva, ovvero che c'era sì una squadra in vantaggio, ma non era mica l'Italia.

Quindi scopro un'altra cosa del mio fidanzato che ignoravo e che lui mi butta lì con disinvoltura: se Marco guarda una partita dell'Italia, l'Italia perde. Mi precipito istantaneamente sul telecomando e spengo la tv, ma ormai la frittata è fatta.

Durante Italia-Uruguay la tele naturalmente è rimasta spenta e non ho osato nemmeno controllare l'andamento della partita su Internet, per paura che l'occhio di Marco potesse cadere sul risultato. Come sapete il mio scrupolo è servito a 'ngazz, e il mio entusiasmo calcistico, come dopo ogni ultima Partita dell'Italia ai Mondiali, a pochi minuti dalla sconfitta è andato in letargo dove ci resterà per i prossimi quattro anni.

domenica 15 giugno 2014

Ha piovuto, finalmente!

Lo capisci quando sei sudato. Ti diventa chiaro quando sei stanco, affaticato, esasperato e poi il cielo diventa plumbeo, e si alza un po' d'aria e alla fine si mette a piovere che sì, Dio è in una brezza che soffia leggera.

(Sto leggendo Dio. Una biografia di Jack Miles. Un mattone eh, ma uno dei saggi migliori su cui mi sia capitato di mettere le mani).

domenica 8 giugno 2014

I capelli incasinati, Twin Peaks e la mia scialba vita onirica

Ieri sera guardando un video di Carole King  sono stata risucchiata in un trip assurdo sul fatto che nei decenni passati chi veniva ripreso durante un'esibizione aveva sempre i capelli in disordine. Mi succede ogni volta che guardo Radio Capital Tv e, dal momento che Marco la adora,  mi capita spesso di vedere le dive del pop in piena tempesta elettrica di capelli. Non so perché la cosa mi sconvolga così.

Boh, provateci voi oggi a uscire così, quando non si prende neanche la metropolitana senza essersi date almeno un paio di colpi di piastra. Poi, stanotte ho addirittura sognato che dovevo scrivere un post su questa cosa. Quindi dal momento che - come insegna Twin Peaks - ai sogni bisogna dare retta, eseguo.

Ah, I segreti di Twin Peaks è la mia ultima mania. E' incredibile: mi terrorizza ma non riesco a smettere di guardare.E poi Dale Cooper è un mito. I personaggi femminili hanno tutti delle acconciature impeccabili  e anche quelli maschili non hanno mai un capello fuori posto.

Geniale come alterna scene oniriche terrificanti alle piccole gioie quotidiane, look anni '50 e camice a quadri  che col senno di poi fanno tanto grunge. Che poi il successo di Twin Peaks e quello di Nevermind dei Nirvana sono più o meno contemporanei, no?

Marco mi ha già avvisata che la seconda stagione finisce di merda con una conclusione buttata lì in fretta e furia. Staremo a vedere...

Intanto mi sono già messa alla ricerca di L'autobiografia dell'agente speciale Dale Cooper e del Diario segreto di Laura Palmer. Di sicuro prima o poi leggerò anche In acque profonde, il saggio di Lynch sulla creatività perché voglio sapere cosa dice a proposito del rapporto tra i sogni e l'immaginazione. Marco è molto rigoroso coi suoi, per molto tempo ha trascritto i suoi sul suo blog e ogni mattina di chiede cosa ho sognato. Io difficilmente me li ricordo e nella mia vita pre Twin Peaks sinceramente non me ne è mai fregato un cazzo, ma adesso inizio a pensare che probabilmente mi sono sbagliata.

lunedì 2 giugno 2014

Karoo, o caro Steve Tesich!

Premessa: questo non è tanto un post, quanto una telefonata alla mia amica Al, che data l'ora - adesso sono le 09.15 - e il dì di festa preferisco non chiamare. Ma devo assolutamente dirle di leggere Karoo di Steve Tesich.

Perché parla di una manciata di cose che ossessionano (o hanno ossessionato) entrambe ovvero:

1) La drammaturgia
2) Il rapporto tra la drammaturgia e la vita
3) Gli uomini irrecuperabilmente egocentrici
4) Dio

Grazie al Cielo la voce 3 è stata depennata per entrambe, ma le altre credo sussistano ancora tutte.
A dire il vero un po' mi scoccia che qualcuno abbia già scritto un romanzo così ricco e inappuntabile sul rapporto tra la sceneggiatura e la vita, perché quanto la mia fiducia nelle mie capacità di scrittura fa capolino penso sempre che mi piacerebbe raccontare proprio di questo: Affinità e divergenze tra l'ABC della drammaturgia di Yves Lavandier e la nostra vita dove le linee narrative brancolano cazzo di cane.

Però l'ha già fatto l'amico Steve, con questo signor romanzo.

A dire il vero, ho un attimo diffidato prima di iniziare a leggerlo perché nella fascetta si faceva riferimento all'autore come una specie di Mordecai Richler (quello della versione di Barney) e io odio i paragoni con altri autori nelle fascette dei libri, almeno quanto amo Mordecai Richler, ragion per cui ho rischiato di lasciare Karoo lì sullo scaffale della libreria. Ma poi ho letto una buona recensione, e sono uscita a comprarmelo un sabato pomeriggio dopo pranzo.


All'inizio devo ammettere che la prosa mi ha lasciato un filo interdetta, magnifica davvero eh,  ma proprio identica a quella di Richler come stile e temi. Ragion per cui mi sono presa una pausa di una settimanella leggendo altro. E poi tac!, quando l'ho ripreso in mano la sorpresa: a metà del libro la storia decolla lasciando intuire il grande schianto finale e la sua natura tragica - con tanto di catarsi -.
C'è proprio tutto: l'hybris, l'ironia tragica, la colpa oggettiva, quella soggettiva, la catastrofe e appunto, la catarsi.

Solo che invece di essere scritta in versi è in prosa inglese ed è ambientata nell'anno 1991.

A questo punto, vi racconto una cosa.
Ancora mi tormenta che saranno stati 7 anni fa all' esame di drammaturgia ho preso 27. Nessun esame in vita mia mi aveva mai appassionato così tanto o fatto scoprire cose così importanti per me. E' stato il corso più significativo che abbia mai seguito in vita mia e prendere 3 punti in meno del 30 all'esame è stata una secchiata di acqua ghiacciata su una strada cosparsa di merda. Per anni a ripensarci ho sempre sentito il brivido post traumatico, quello che ti fa contrarre  le spalle quando ti torna in mente una cosa bruttissima.


Leggere  Karoo è stato come aver ridato l'esame. E no, non ho mica preso 30 e lode. Ho preso 27 ma mi sono accorta che il voto non significa un cazzo.

Al accidenti, vai a comprarti quel libro, leggitelo e poi ne parliamo.




domenica 1 giugno 2014

Edna O' Brien ce la sa molto più delle Ragazze di campagna!

Anch'io, come molti stronzi, sono rimasta perplessa dallo straincensamento di un libro come Ragazze di Campagna - e l'ho scritto anche su Anobii -.  Frizzante e gradevole, ma  stop con un'unica pagina memorabile, quella in cui la protagonista a Londra si descrive guardandosi allo specchio.
Però qualche settimana fa avevo voglia di leggere qualcosa di  fresco e immediato (una limonata fresca per il cuore) e così mi sono comprata il seguito, che si intitola La ragazza dagli occhi verdi e, una volta finito quello, ho mandato di corsa Marcommesso a prendermi l'ultimo volume della trilogia, Ragazze nella felicità coniugale.

Preso da solo nessuno di questi romanzi è straordinario ma insieme sì, che sono un capolavoro. Era dai tempi di Harry Potter che non mi capitava di leggere qualcosa di così efficace nel suo svilupparsi volume dopo volume.

In particolare, in Ragazze nella felicità coniugale. sono una figata assoluta i capitoli narrati dalla voce di Baba. Nei primi due romanzi la voce narrante è quella della protagonista Caithleen; nell'ultimo invece il racconto è affidato a un narratore esterno, che si alterna alla voce Baba, che nei precedenti libri abbiamo già imparato a conoscere come ragazza forte, volitiva e senza peli sulla lingua. Quello che il lettore non conosce ed, è proprio la sua linguaccia a svelarci, è l'incredibile fragilità di Cate, il lato patologico della sua personalità «troppo buona, quel genere di bontà insulsa... capito no?» (p.9)
Baba invece è  personalità tagliente e fatalista, che guarda le cose in faccia e quando rimane incinta  del suo amante, dopo aver provato inutilmente con l'aborto fai da te commenta:« Se volete che vi dica che il crimine non paga va bene, ve lo dico subito, ma lasciatemi anche dire che la virtù non paga, è tutta una questione di fortuna, e la nostra vita è li a dimostrarlo. Bambini, pensai. Che Dio li aiuti perché non sanno da che razza di bastardi sono nati» (p.153)

E qualche pagina prima: «Io so che un minuto dopo che hai chiesto scusa a qualcuno, quello ti pugnala alle spalle ».

Caithleen (che nell'ultimo volume è dventata Kate) invece si zerbinizza, si fa calpestare in nome della bontà e si autodisintegra. Inutile dire che temo che prima o poi capiterà anche a me, che potrei andare in giro con un capello fatto coi piedi che mi mettono in testa. Edna O' Brien ci ricorda quello che aveva già detto Balzac in La Cugina Bette ovvero che le più grandi virtù portate all'estremo si trasformano nei nostri vizi peggiori.

E io mi chiedo se qualche volta  si porge l'altra guancia per pura e semplice pigrizia perché è più facile una rassegnazione inerziale che rispedire al mittente la merda che ti hanno spalmato in faccia.



domenica 18 maggio 2014

Mi ha tolto le parole di bocca!

«Mentre scrivo queste parole già rimpiango di averle scritte, perché ho paura che mi facciano sembrare più nevrotica di quanto non sono.  Al tempo stesso, temo che mi facciano sembrare esattamente nevrotica come sono, e rimpiango di non averlo saputo nascondere meglio. Rimpiango in continuazione di rimpiangere le cose, perché potrei investire la mia immaginazione in scopi migliori. Non solo: rimpiango anche di sentirmi in dovere di parlare dei miei rimpianti, non soltanto in terapia ma a cena, al parco giochi, al telefono e sulla carta stampata.

In parte lo rimpiango perché sono fortemente consapevole di come vengono percepiti i miei rimpianti quando li esprimo. Ciò che desidero è esplorare a fondo universi paralleli e esiti alternativi possibili (...).

Credo in un certo senso di essere arrivata a a considerare il rimpianto come un gioco deduttivo che, pur non essendo quasi mai divertente, alla fine riuscirà a risolvere tutti i misteri della vita. Era questo il mio obiettivo? Avrei potuto prevedere un risultato del genere? Come sono arrivata fin qui?  ».

Carina Chocano, Cos'è il rimpianto, su Internazionale n°1050; 9/15 maggio 2014

domenica 11 maggio 2014

Qui la situazione peggiora

Sono un po' depressa e questo mi spaventa perché la depressione è uno dei sintomi di alcune forme di tumore. Litigo con Marco. Tipo che ieri fa mi fa: «Eh, perché sul blog dovresti essere più spontanea, meno ironica scrivevi cose bellissime all'inizio...».

(All'inizio, ovvero 10 anni fa).

E adesso mi spunta alle spalle, legge prima la frase di questo post e si incazza.
Al che non mi resta che fargli notare «Scusa, ma me l'hai detto tu di scrivere quello che sento, senza preoccuparmi di chi legge». E io a volte sento delle fitte in un punto preciso della pancia - a sinistra - e ho paura che sia il pancreas. Ho così paura che non sono andata nemmeno su Google a cercare se il pancreas è a destra o a sinistra. Mi sto proprio cagando in mano e anche a proposito della defecazione ci sono un paio di cose che mi preoccupano. Quando qualche mese fa ho parlato col medico mi ha detto di non preoccuparmi. Ma - come sapete se mi leggete da un po' - io non riesco a non preoccuparmi.

Sempre ieri mattina, per distrarmi dai miei affanni mi sono messa a leggere E così vorresti fare lo scrittore? di Charles Bukowski e solo aprendolo ho scoperto che si tratta di un libro di poesie. Tipo:

Il modo migliore per creare arte è
bruciare e distruggere concetti comuni e sostituirli 
con nuove verità che scendono 
dalla testa 
ed escono dal cuore.

Sarebbe banale e inesatto dire che a me le verità scendono dal naso e escono dal culo. Io le verità le vorrei cercare in una bella ecografia e in una coprocultura. Non ce la faccio più. Mi chiedo se esista a qui in giro un gruppo di auto-aiuto tipo Fight club: «Tu non sei il tuo reflusso gastroesofageo del cazzo!» Continua a venirmi in mente un capitolo di l'Ultima favola russa in cui c'è quella descrizione del tumore che cresce dentro uno dei personaggi a sua insaputa. Ripensando anche a quello che è successo qualche settimana fa, credo che sia arrivato il momento di fare qualcosa, ma non so cosa.

Idee? 
O in alternativa gradite un bel bicchiere di succhi gastrici?


venerdì 2 maggio 2014

Dio di illusioni di Donna Tartt ovvero l'invidia del peana?

Sto leggendo Dio di Illusioni di Donna Tartt. Sì, lo so che avevo stroncato la seconda parte de Il Cardellino, ma la sua prosa mi è sembrata comunque magnifica, e poi ha vinto il Pulitzer. Quindi ho deciso di darle un'altra possibilità. Ora che ho quasi finito anche questo romanzo mi domando perché i giovanissimi protagonisti dei suoi libri sono sempre alcolisti o fattoni. Non tossici da strada, tutti ragazzini altoborghesi o almeno di classe media ma con una disinvoltura verso gli alcolici e le droghe che mi ha lasciato un filo perplessa.

In Dio di illusioni i personaggi non fanno in tempo a farsi passare la sbornia che sono tutti di nuovo ubriaco e ogni pagina è avvolta da quell'incertezza tremula da quarto o quinto bicchiere. Poi, nello specifico di Dio di illusioni, i sei protagonisti sono una specie di isolata confraternita fissata col greco e affascinata dal loro seducente docente. Tipo che chiacchierano in greco antico!

Mi ricordo che in quarta o quinta ginnasio ogn tanto mi sono chiesta anch'io come sarebbero suonati certe canzoni di Ligabue o dei Nirvana tradotte nella lingua di Omero ma non è che la cosa si sia spinta più in là di un paio di versi.

Come ne Il Cardellino l'ossessione per la cultura del vecchio continente è incarnata dal dipinto di Carel Fabritius, in Dio di illusioni tutto ruota intorno a Dioniso e alla sua lingua, venerata in modo ossessivo, quasi malsano. C'è un qualcosa di febbrile nelle pagine che mi ha ricordato Delitto e castigo (che è pure citato, ma senza  menzionare la fonte, ovvero il povero, vecchio Dostoevskij).
Sembra quasi che la Tartt e i suoi personaggi siano rosi da una specie di invidia del peana, tipo Europeo è bello, Americano fa schifo.  Ma faccio ancora fatica a metterne a fuoco il motivo. Strano che a volte i romanzi che consideriamo imperfetti ci ossessionino di più di quelli che schiaffiamo direttamente nell'empireo dei capolavori.

domenica 27 aprile 2014

Compatitemi e passatemi un Lines!

L'ipocondria è quel fenomeno per cui una donna di trent'anni va a fare la pipì, ci vede del sangue e pensa : «Cazzo, ho un'emorragia interna!». Alla fine, si messi l'assorbente e il sipario calò sulla vicenda, ma  non prima di aver fatto un'opportuna googlata sangue nelle urine. Fu l'occasione per scoprire il nome medico del fenomeno,  che è ematuria: splendido e imponente, se mai un giorno avrò una gatta rossa, la chiamerò così. Per ora di rosso c'è solo la mia, di micetta sanguinante. E mi chiedo se mestruazioni e una lesione interna si possono verificare in contemporanea.



lunedì 21 aprile 2014

Attacchi di panico? Leggete 'Ci rivediamo lassù'!

Allora, chi mi conosce sa che in certi periodi per me le crisi d'ansia e il senso di inadeguatezza saltano fuori ad ogni angolo con un bel Bu! che mi stende per terra. Un cambio di lavoro e una nuova mansione - a me quasi totalmente ignota - diventano quindi  una porta spalancata all'insicurezza. Aggiungeteci poi la ricerca di una nuova casa e il fatto che a Marco hanno rubato il portafoglio mentre stavamo litigando. Mi sento ancora come se gliel'avessi rubato io.

Un tempo mia madre me lo somministrava con l'imbuto
Dirmi: «Stai calma» è la miccia che innesca immediatamente una crisi, perché mi ricorda che nonostante i triliardi di tentativi che faccio non riesco mai a mantenere un atteggiamento sereno nelle situazioni più o meno difficili. Se ci riuscissi è ovvio che manterrei la calma, no?!

Chiedermi:«... Ma come fai a vivere così?» è una domanda che tormenta anche me, dal momento che me lo chiedo pure io almeno ogni venti secondi.

In questi giorni l'unico rimedio che ha funzionato è stata l'omeopatia letteraria. Infatti Ci rivediamo lassù di Pierre Lemaitre prima ancora che un grande romanzo è stato l'incontro con mio fratello Albert Maillard. Ritenuto inetto dalla madre, esitante impiegato di patologicamente insicuro, tremante, irresoluto il libro si apre con un capitolo che fa rizzare i capelli in testa - che non vi svelo - vi dico solo che, arrivata in fondo, boccheggiavo.
Cosa c'è di peggio per una persona con i nervi a fior di pelle che ritrovarsi coinvolta in quella guerra di logoramento che è stato il primo conflitto mondiale? In realtà le trincee occupano solo una piccola parte del romanzo: il bello viene dopo, nella fase post bellica. 

L'autore è  stato bravissimo a infilare Albert in una serie di situazioni che fanno pensare alla legge di Murphy, sempre impressa nella mente di noi angosciati cronici ovvero Se  qualcosa può andare male lo farà. L'incontro con Edouard, l'altro protagonista del libro, trascina Albert  in un vortice di fatti e misfatti che sono il peggior incubo di una persona agitata perenne : dalla falsificazione di documenti alla truffa.... Bellissimi passaggi in cui gli sfilano davanti le possibili, catastrofiche conseguenze delle sue azioni: sarà che le ho apprezzate così tanto perché anch'io sono una grandissima regista di film mentali.
E poi c'è lo sguardo quasi clinico di Lemaitre verso la fisicità dell'ansioso: il sudore, il sobbalzare al minimo rumore, l'aria che non arriva ai polmoni...
Non ho mai letto nessuna descrizione così vera dei miei disturbi. 

Il finale della vicenda, poi, è un capolavoro di ironia.

Magari con queste righe vi ho dissuaso dalla lettura, ma non era mia intenzione ( ecco l'ansia che entra in campo!). Guardate che i recensori hanno davvero ragione quando scrivono che è una superlativa storia di amicizia. Fidatevi di loro, non di me che tanto non sono neanche una critica letteraria vera: di vero ho solo le pare. 

domenica 13 aprile 2014

Bambini nel quadro di Alain Korkos ovvero la miglior pausa dalle proprie ansie


Leggete qui cosa ha detto uno dei miei contatti Facebook a Papa Francesco. La ammiro. Io non avrei più l'audacia per un gesto del genere. Mi basta salire sulle scale mobili e pensare che forse sto ostruendo lo scorrere dei pendolari per rattrappirmi dentro.

Dentro di me c'è una voce che continua a sussurrarmi: « Sei una cacchina,  diarreina, sterchina, scoreggina....» e così via di sinonimo in sinonimo escrementizio. Il senso di inadeguatezza non chiude mai il cesso la bocca e... dov'è lo sciacquone? Sono pochi i momenti in cui non la sento, tipo quando sto con Marconsolazione o quando leggo qualcosa di bello.

Per fortuna esistono libri come Bambini nel quadro che leggerli è come sentire l'entusiasmo citofonarti a casa. La cosa figa di questo volume è l'approccio entusiasta e frizzante con cui i testi incoraggiano l'occhio all'esplorazione del quadro

Sì dico spesso, come tutti, che mi piace l'arte, vado a vedere i musei e le mostre, quando capita, ho dato i miei bravi esami di storia dell'arte, mi piace leggere le biografie dei pittori e guardare Philippe Daverio alla televisione, seguire la pagina  Se i quadri potessero parlare, ma quanto a lungo lo sguardo si sofferma su una singola opera? Pochissimo, l'attenzione balza subito dal testo al contesto, senza dare mai troppa retta al quadro in sè;  In una mostra, lo sguardo gioca a saltare la corda coi dipinti senza mai darsi un attimo per riprendere fiato. E me ne accorgo solo adesso, a trent'anni, leggendo questo effervescente, incalzante libro per bambini. I suoi testi, pieni di domande e risposte sono una manina che indica l'opera d'arte, ti conducono in una passeggiata visiva che svela non solo la storia del quadro, ma spesso anche la storia nel quadro. Mi sono accorta che il libro segue la prima regola della scrittura per i social network: Fai domande. Se susciti curiosità la gente vorrà sapere come va a finire.



A me questa intuizione della dimensione narrativa della pittura mi ha fatto strippare come un pacchetto di M&M'S. E da brava ingorda dal momento che l'ho finito preso, ieri sono schizzata a prendermi pure Entrate nel quadro, l'altro libro di Alain Korkos  edito in Italia. Almeno il senso di inadeguatezza che mi perseguita sta zitto e assorto nella lettura per un po'.

sabato 5 aprile 2014

Clicca sull'immagine e trova le differenze

Ho ricevuto una mail dalla Alberto Peruzzo Editore che mi ha invitato a cliccare mi piace sulla pagina Facebook della sua nuova rivista. Immediatamente ho associato l'immagine della copertina a quella de Il mio Papa, il fresco settimanale Mondadori dedicata al pontefice.

Non toccato con mano né tantomeno sfogliato nessuno dei due giornali quindi può darsi che si tratti di ottimi magazine, traboccanti di notizie e approfondimenti interessantissimi come l'engagement dei visitatori sui social network (immagine a sinistra)  o ricche riflessioni sulla spiritualità, dal momento che siamo anche in Quaresima (immagine a destra).

Eppure amici, per qualche misterioso motivo, che affonda le radici nel mio inconscio, non ho resistito alla diabolica tentazione di accostare le copertine. Cliccateci sopra: riuscite a trovare le differenze oltre  a quella che ho trovato io: rossetto Vs zucchetto?









sabato 29 marzo 2014

Il Cardellino di Donna Tartt: ascesa e caduta di un romanzo

Vi ricordate quanto la settimana scorsa fossi entusiasta de Il Cardellino di Donna Tartt? Ecco, la seconda metà del libro prende una piega decisamente meno fulgida, s'accascia nel thriller con questo Lucius Reeve che sembra uno dei cattivi di Harry Potter che non si capisce bene da dove sbuchi, le sparatorie e le riflessioni metafisiche sul significato dell'arte. Alcuni passaggi - sia chiaro - sono pieni di lirismo e super suggestivi, come la riflessione sul significato ultimo del dipinto Il cardellino o la parabola di Boris.

«(...) sai quella dove il fattore ruba l'obolo della vedova, ma poi scappa in campagna e fa fruttare il gruzzolo e riporta mille volte tanto alla vedova a cui l'aveva rubato? E lei lo perdona con gioia, e uccidono il vitello più grasso, e fanno festa? ». (p.861)

Ingredienti di qualità che però, per come sono amalgamati, mi hanno lasciato un attimo perplessa, almeno rispetto allo splendore della prima metà del romanzo. Nel finale anche la rosea, cinguettante figura di Pippa si dissolve in un vapore grigio di nebbia.



Quante volte ci capita di avere in testa concetti che ci sembrano splendidi, ma di non riuscire a trasferirli in forma scritta?

A dire il vero anche Theo Decker, il protagonista del romanzo, intorno ai 3 /4 del libro,  strafatto e pronto ad accopparsi ad Amsterdam, - curiosamente -si trova di fronte allo stesso problema quando vuole scrivere a Hobie, Pippa e gli altri qualche riga d'addio:

«La mia mano era volata sulla pagina in una serie di scatti intermittenti e istintivi. Ma quando arrivai in fondo (...) mi bloccai inorridito. Ciò che avevo vissuto come una specie di lunga carezza finale, non aveva nulla dell'addio eloquente e toccante che avevo immaginato. La grafia era inclinata e pasticciata, né intelligente, né coerente, né tantomeno leggibile. dovevo esserci modi molto più veloci e semplici di ringraziare Hobie e dire quello che volevo dirgli (...)». (p. 832)

Cara Donna Tartt, a un certo punto anche a te sono mancate le parole? 


Voglio dire, si capisce che l'autrice aveva in mente di dire delle cose, sul significato della vita e della sua transitorietà, sull'arte e la sua permanenza attraverso i secoli ma, merda, non è riuscita a fondere questi temi allo sviluppo della trama, o almeno non ci è riuscita secondo me. Ed è un peccato, cazzo, cominciare col piede giusto e pestare una cacca così grande sul finale. E se fossi io la Tartt non ci dormirei la notte, ma visto che non sono lei la notte sto sveglia - o mi sveglio di soprassalto - per altri motivi tipo il talento e la sua assenza, il successo e le sue ragioni, gli incubi da ipocondriaca con un'improbabile canzone dei Perturbazione in sottofondo.

La mia professoressa di latino e greco al liceo, una volta ci aveva parlato della crisi che aveva colpito i poeti della generazione successiva alle opere di Orazio e Ovidio. Cosa potevano scrivere dopo aver letto la perfezione? Ansie classiciste annichilenti post perfezione e angoscia del postmoderno saturo di materiali, hanno qualcosa in comune? Angoscia dopo la perfezione inavvicinabile, angoscia perché si rischia di annnegare nelle cose che ogni giorno la gente rilascia nel web. Cioè, nel 2014 , soprattutto online, difficilmente si scrive qualcosa di nuovo, al massimo si riassemblano gli infiniti i contenuti che ci sono in giro: anche per la fretta con cui l'industria culturale esige che si produca roba fresca. E ogni volta che si rimaneggia un contenuto, di solito è come se si svuotasse un po', come scavare una vaschetta di gelato col cucchiaino o vedere un comò svuotato dall'interno dagli insetti che mangiano il legno. Serve impegno per mantenersi costantemente creativi: a cadenze periodiche, ci vorrebbe una bella vacanza in posti del genere.



sabato 22 marzo 2014

Il cinguettio de Il Cardellino di Donna Tartt mi tira su

Sto leggendo Il Cardellino di Donna Tartt, che come libro è davvero perfetto per il cambio di stagione. A volte esco la sera dall'ufficio che vorrei solo stendermi sui binari del tram per la stanchezza, ma il pensiero di qualche pagina di quella prosa lì mi aiuta a trovare l'energia per ritornare a casa. Perché voglio sapere come la cazzo di storia va avanti.  E anche se - una volta che mi accuccio nel letto  mi si chiudono gli occhi, una trentina di pagine me le devo comunque far fuori.

Ma qual è il segreto di questi scrittori americani così possenti, eleganti, profondi, sfaccettati, immediati, lievi, accattivanti e incredibilmente avvincenti?

Io di Donna Tartt non avevo mai  letto niente, non l'avevo mai manco sentita nominare (avevo orecchiato da qualche parte il titolo Dio di illusioni ma non mi ispirava granché) e mi aveva sorpreso scoprire che questo romanzo dal titolo pennuto era uno dei libri più attesi del 2014.

Così sabato scorso alla Feltrinelli, dopo averlo visto, ho rimesso nella pila La ragazza dagli occhi verdi (Il sequel di Ragazze di campagna di Edna  O'Brien che sì è carino ma stop) e ho preso la mia copia del libro che Sua Altezza dei critici letterari Michiko Kakutani ha definito «un travolgente romanzo Sinfonico che vi farà riscoprire tutto il piacere della lettura».

Diciamo che come prosa la Tartt si infila nel filone di autori tipo Audrey Niffenegger  Andrew Sean Greer e anzi, al punto dove sono arrivata finora - p. 273 -, questa corrente letteraria la domina proprio. Ma come fa questa  benedetta scrittrice avere una visione così nitida, limpida? Come fa a congegnare una trama così solida e - allo stesso tempo - a metterci dentro tanta poesia? Tipo, parlando di un personaggio scomparso, uno dei protagonisti lo ricorda così:

«Era un brav'uomo. Non ce ne sono tanti così. Gentile, affascinante. La gente lo compativa per via della schiena, ma io non ho mai conosciuto nessuno più ottimista di lui, e ovviamente i clienti lo adoravano... era un uomo estroverso, socievole... "Il mondo non mi verrà incontro" diceva sempre "per cui devo andargli incontro io"». (p. 168)


Mi rifiuto di credere che le risposte siano solo 'legioni di editor dietro il culo' e 'un'infinità di tempo a disposizione'. Qual è la formula magica che permette a questa donna di ricreare la vita sulla pagina?
Ecco  mi stavo arrovellando su questo quesito ho scovato un'intervista che l'autrice ha rilasciato a Vanity Fair. Forse sì, il segreto è proprio il tempo, la tranquillità di concepire, cesellare, levigare e cullare i personaggi fino a quando non si mettono a respirare.

A proposito di respirazione in questi giorni mi ritrovo spesso col fiato corto, dev'essere lo sballo di marzo pazzerello. E così ho aggiunto alla solita dieta di libri e carboidrati una compressa al dì di vitamine effervescenti, con lo sfrizzolare che  fa da colonna sonora alla mia colazione al mattino. mentre chiamo a raccolta le energie e la motivazione per uscire di casa, lasciando a guardia della Scoreggia di Versailles un poderoso volume di 892 pagine.

domenica 16 marzo 2014

A volte, ritornano (con un sorriso!) come Salvatore Niffoi






Dove vanno le affermazioni che non stanno né in cielo né in terra? Le frasi senza capo ne coda? Cadono con un tonfo sul fegato di chi le ascolta e restano lì a renderlo sempre più pesante? Boh, mistero! Per fortuna ogni tanto ci si imbatte in parole belle (mica belle parole!), discorsi gentili e grandi ritorni.

Tipo ho comprato quasi per caso (era in offerta su amazon in formato ebook) uno dei romanzi che Salvatore Niffoi ha pubblicato con Feltrinelli, Pantumas. I primi suoi libri li ho adorati, ma poi ha iniziato a pubblicare romanzi né carne né pesce, robe confuse, che invocavano un bel po' di editing sulla trama e così ho smesso di leggerlo. Si vede che alla Feltrinelli l'editor è arrivato perché Pantumas fila, eccome se fila, fila, fonde e mi ha avvinto proprio. Evviva!

Sono andata a rileggermi la  stroncatura che avevo postato su Anobii nel 2011 per Il lago dei sogni, l'avevo conclusa con un accorato (miiiiiiiiiiii!): «Ti do un consiglio da fan: pubblica meno, ma pubblica meglio...» A tre anni di distanza è bello vedere che mi ha dato retta. Se questo romanzo finisce bene com'è cominciato e soddisfa a dovere tutta la suspence che ha costruito pagina dopo pagina di Niffoi mi compro anche il romanzo nuovo che é appena uscito La quinta stagione è l'inferno.

sabato 8 marzo 2014

...E si è pure laureato!

 «Mio cuggino mio cuggino,
mio cuggino è rispettato,
amico di tutti.
Mio cuggino ha fatto questo e quello....»

 Elio e le storie tese, Mio cuggino

Chi l'avrebbe mai detto che quel ragazzino, iscritto all'istituto professionale, che d'estate aiutavo con i compiti di italiano si sarebbe diplomato al conservatorio? E così anche il mio cuginetto si è ha una laurea.

Tra l'altro, ha discusso la tesi con addosso la maglietta dei Punkreas. Quanti concerti abbiamo visto insieme? Quand'ero al liceo me lo affibbiavano dietro come  sostegno, punto d'appoggio e scudo umano contro il pogo (sembre meglio che andare ai concerti punk con mia mamma!) e un po' mi piace pensare di aver innescato la miccia delle sue passioni musicali.



Auguri... Auguri cosa? Dottore?  professore?  Qual è il titolo che spetta ha chi ha discusso una tesi in conservatorio? Beh, comunque sia congratulazioni.

Beato lui che è già fuori dall'Italia -  sta a Maastricht ed è tornato solo per la discussione - fa il modello all'accademia d'arte e all'ora guadagna una cifra che qui sembra stratosferica.

Quanto a me oggi, devo affrontare l'appuntamento con la padrona di casa che esige il conguaglio per bollette di luce e gas "molto alte" (non ha voluto svelare la cifra esatta). Ormai, io e Marco non riscaldiamo più nemmeno la brioche la mattina, per timore degli eccesivi consumi del forno. Ogni volta che addento il mio Pangocciolo freddo penso a John Elkann e al suo  «Molti giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa».
Caffè, un prodotto da forno freddo e un vaffanculo caldo, caldo: il modo migliore per cominciare bene la giornata.

domenica 2 marzo 2014

Se il blog potesse parlare...



Sarebbe giusto ora che lo facesse.
Perché niente altro al mondo mi motiverebbe a scrivere oggi. 
Passo e chiudo. 

sabato 22 febbraio 2014

Sanremo e Sanremate visti da chi si corica presto

...Cioè un Festival di Sanremo che si lascia guardare senza voglia di cacciarsi due dita in gola e risultato qual è? Il Codacons invita il povero Fazio Che Strazio al rimborso di parte del cachet. Certo che la ggente non è mai contenta: prima esige la qualità poi gli dai un assaggio di originalità mescolato alla solita sbobba e reclama ascolti da urlo.

Certo, provare a aggiornare il Festival della Canzone Italiana  senza snaturarlo è un po' come tenere il piede in due scarpe e per giunta una super glamour con il tacco a spillo e l'altra una pianella da casa. Ovvio che conciati così si fa fatica a stare in piedi.
Pota, d'altro canto come non rimanere perplessi davanti alla Lucianina (!) Littizzetto che con 25 anni per gamba fa ancora la bimbaminchia (e rompeva già il cazzo a Bucknasty nel 2008)? Come non farsi esterefarre da un Fazio che quando i due tipi minacciano di buttarsi dalla balconata dell'Ariston ride sotto i baffi? Cioè cazzo, se fossi stata una disoccupata/ cassaintegrata/ lavoratrice che non percepisce lo stipendio avrei buttato giù dalla finestra la tele: ce ne son innumerevoli di situazioni di disagio vero, perché inscenarne una a beneficio delle telecamere?

Poi il monologo della Luciana sulla bellezza e la disabilità non ho capito se fosse un risarcimento morale al signor Giovanni d'Agata, ma quello che so è che è stato di un luogocomunismo imbarazzante, che se stava muta, la Litty faceva più bella figura anche agli occhi di un cieco, di un minorato o di una spastica come me che da bambina i coetanei me le suonavano di santa ragione perché ero handicappata, altro che «i bambini son molto più capaci di noi a non far caso al diverso».
E poi no, non credo che vedremo tanto presto un bimbo down fare lo spot della Barilla o della Ferrero, perché lo scopo della pubblicità non è quello di fare innovazione sociale ma quello di vendere un prodotto avvolgendolo di un'aria di desiderabilità, ma i bimbi handicappati non sempre hanno molto appeal. Che poi se prendessero un bimbo disabile e simpaticissimo come testimonial della pubblicità c'è da scommetterci che tutti i bimbi handicappati del paese sarebbero messi in croce a ogni muso lungo: «Perché non sei allegro come lo spot della merendinminchia?»

Sarebbe stato meglio che sul palco si fosse suonata una cover di Calpesta il paralitico: avrebbero preso due piccioni con una fava: ricordare Freak Antoni e  la disabilità.

Però, siamo giusti, qualche momento da salvare c'è stato. Proprio perché raro, prima di gettare nel dimenticatoio tutto il resto ecco il Sanremo da Salvare secondo me. Qualcuno si chiederà come mai compaiano spezzoni di esibizioni in scena dopo le 23, orario entro il quale, cascasse un Cat Stevens, son sempre a letto. Ovviamente ho recuperato il tutto online.

I 5 momenti migliori di Sanremo
(in ordine rigorosamente smarmellato e cazzocanino)



Santamaria che legge la lettera di Alberto Manzi. Oki era una sfacciata marchetta della fiction sul maestro di Non è mai troppo tardi che va in onda la prossima settimana, ma per marchette così tutti i giorni io farei la firma. A sentir le parole "senso critico" e quell'onestà così insistita mi sono emozionata in maniera proprio genuina.



Su  Cat Stevens alla prima serata si è commossa la Luciana e anch'io ho provato un brivido sonoro sentendolo cantare quando la mattina dopo ho visto il video dal pc dell'ufficio. Come altri ospiti ,dalla Valeri a Gino Paoli ,Yusuf era ben stagionato, ma c'è da scommettere che gli autori hanno puntato sull'effetto nostalgia per accalappiarsi gli spettatori di mezza età.


Il flash mob, semplicemente, mi ha deliziata.La puntualizzazione: «Questo l'avevamo preparato» di Fabio Petulio Fazio mi ha un attimo irritata ma vabbè. Su di me i flash mob hanno l'effetto di una tavoletta di cioccolato abbinata a una  Piña Colada, quindi dopo averne visto uno di solito vado avanti a sorridere beata per mezz'ora.





L'Unica dei Perturbazione è una delle canzoni più orecchiabili. O la fate vincere oppure sarete condannati a restare in eterno nazionalpopolari e a non evolvere mai in nazionalpop.



Dal momento che sono un'ottimista bipolare sogno un Festival di Sanremo 2015 ideato e condotto, riveduto e corretto da Pif

sabato 15 febbraio 2014

Felici i felici e beati i generatori di contenut (tipo Diegozilla)

 Giovedì sera ho finito di leggere Felici i felici di Yasmina Reza, che mi sono decisa a comprare in ebook dopo aver letto questa recensione qui. Anche se non ho desiderato di convolare a nozze con la scrittrice ho ammirato un sacco la sua capacità di scandagliare il disturbante nel quotidiano, avrei avuto voglia magari non di farmela ma di abbracciarla al grido di « Yasmina, sorella mia!» sì. Tipo, agli inizi del libro un personaggio maschile durante un litigio al supermercato riflette:

«(...) Si chiama solitudine il carrello della spesa, il reparto olio e aceto,e l'uomo che implora sua moglie sotto i neon. Dico scusami. Scusami, Odille. Odille nella frase non è necessario. Certo Odille non è gentile, aggiungo Odille per sottolineare la mia indifferenza».



Questo passaggio mi ha folgorata. Ho pensato: «Allora è vero, cazzo». Anni di conversazioni su Skype, di ogni tipo, e mi ha sempre messo a disagio vedere digitato il mio nome in fondo a una frase.

Questo non è possibile, Gloria.
Tienilo presente per il futuro, Gloria.
Ci vediamo un'altra volta, Gloria.
Purtroppo non posso farci niente, Gloria.


Ovviamente su Skype spesso virgola e maiuscola se ne vanno allegramente affanculo ma ho preferito aggiungerle per chiarire il senso. E a proposito del significato delle cose che si leggono online volevo condividere un paio di articoli che mi è capitato di leggere in settimana.

Questo l'ha scritto Diegozilla, e questo invece l'ho letto su Wired: incrociate i dati e le osservazioni di entrambi gli articoli e avrete quella che secondo me è la panoramica dei contenuti digitali in questo Paese, com qualche spunto per migliorare lo scenario, che boh al momento mi pare un po' anonimo con il web dove il generalismo è al potere. Io mi ricordo quanto ancora lavoravo in tv e si diceva che la rete avrebbe fatto evolvere l'organizzazione generalista dei contenuti in modo molto più targettizzato e specialistico: ogni utente si sarebbe costruito il proprio palinsesto di contenuti, attingendo dai siti più autorevoli e in linea con i propri interessi: spazio alla competenza, alla freschezza e all'affidabilità.

Ma in un paese popolato di handicappati digitali (Diegozilla ©) e di bulletti nerd che gli fanno lo sgambetto questi sogni sidi un mondo (almeno dell'informazione) migliore sono dissolti presto. Forse è così che muoiono le utopie: almeno in tempi di bit e pixel non durano secoli e si risparmiano agonie lunghe decenni.

domenica 9 febbraio 2014

Sanremo 2014 e lo spot sbracciato che offende (qualche) disabile

...Cioè, io non ho parole e davanti a queste cose resto così basita da rischiare di diventare muta, oltre che mezza paralizzata. Ma cosa è successo? L'altro giorno scopro sul blog di Candida Morvillo  che uno dei promo per la prossima edizione del Festival ha urtato la sensibilità di tal Giovanni D'Agata presidente di uno Sportello dei Diritti. Guardo lo spot incriminato e mi chiedo come reagisce il signor D'Agata ogni volta che qualcuno la butta sul proverbiale: denuncia chi osa dire che «Chi va con lo zoppo impara a zoppicare? » e se sente qualcuno sentenziare «Non c'è peggior sordo » che fa, si tappa le orecchie e gli chiude la bocca?
Mi sa che ha ragione Puntosanremo.it quando punzecchia Giovanni facendo notare che da sempre al Festival «si cerca notorietà».

Fazio che sta fermo con la mano nelle mani...

Le parole sono importanti. Ma le battaglie linguistiche, per chi vuole combatterle, si portano avanti con rigore e serietà come fa Franco Bomprezzi che ne scrive sempre con pacatezza, competenza e buonsenso.

Ma dite che se io vado all'Ariston e minaccio di mettermi a cantare, qualcuno migliora l'accessibilità dei mezzi di trasporto pubblico? O che l'amministrazione lancerà una campagna di sensibilizzazione per invitare i passeggeri robusti e in salute a offrirmi il posto a sedere prima che io debba rifiutare quello che mi offre un vecchietto malfermo quanto me?

Mah, forse mi irrita tanto la polemica sullo spot di Sanremo perché mi sembra che a volte le persone tirino in ballo luoghi comuni antipatici come i pregiudizi che combattono.
Divento una leghista della diversabilità se dico che me ne frego della Littizzetto che perde la protesi ma vorrei non rischiare di farmi seriamente male ogni volta che la gente scende spintonandosi dalla metropolitana? O che mi piacerebbe tanto che vorrei che muoversi a bordo del Sirietto fosse un po' più agevole; e che al confronto la Luciana sbracciata ha un'importanza di molto inferiore allo zero?

Poi, boh, ho anche pensato che magari il signor D'Agata magari anche lui ha una protesi al braccio e, comprensibilmente, ci convive male. Lo capisco: io che oggi invoco ascensori a ogni rampa di scale quando ero un'adolescente molto più irrisolta di adesso mi imponevo di fare le scale perché volevo essere come tutti gli altri (e guai a chi mi proponeva l'ascensore). Il dolore per le proprie limitazioni, la frustrazione per le discriminazioni quodiane e il desiderio di normalità sono inevitabili e sacrosanti, ci faccio i conti io per prima. La capisco, Giovanni D'Agata se magari poi lei è disabile da poco tempo e magari la urta che qualcuno usi un ausilio protesico che magari ti sta sul cazzo da morire, per fare dell'ironia  in uno scketch sulla vita di coppia (televisiva).  Ma si ricordi che l'ironia in fondo non è che una figura retorica. E mentre lei si scalda tanto per un po' di retorica qualcuno forse ne approfitta per esigere una scala dove le farebbe tanto comodo un elevatore...

sabato 1 febbraio 2014

Scene da un matrimonio: Il prequel ovvero Piccole socialiste crescono

Sono andata ad accompagnare la mia amica che chiameremo (Kgb per rispetto della sua privacy) alla prima prova del suo abito da sposa, che - per inciso - le sta benissimo.
Secondo lei dovremmo aprire anche noi un atelier di abiti da sposa o un'agenzia di pompe funebri, attività per cui c'è sempre mercato. Meglio ancora un atelier di assorbenti, così il flusso monetario sarebbe assicurato in abbondanza.


Comunque, Kgb è alta, rossa,  figa e polacca: se ce l'avete presente assomiglia un po' alla protagonista del fumetto Marzi di di Sylvain Savoia e Marzena Sowa che è uscito qualche anno fa, ma che io sto leggendo solo ora perché l'ho preso in biblioteca.
A parte il fatto che la Polacchia (come la chiama Kgb) negli anni Ottanta era un paese pieno di bizzarrie, stranezze e mostruosità leggendo Marzi vien da pensare che i bimbi sensibili si assomigliano tutti, in qualsiasi parte del mondo, sia a ovest che a est del muro. Di solito poi, i  ragazzini sensibili si trasformano in giovani paranoici: l'ossessione della settimana per quanto mi riguarda è la nostra padrona di casa che ci telefona /scrive ogni due giorni per avere la lettura del contatore della luce: secondo lei consumiamo troppo, ed è perché lasciamo accesso lo scaldabagno elettrico. A me risulta che, quando la temperatura dell'acqua è ok, lo scaldabagno si spegne da solo, ma vaglielo a spiegare.

Vi pare che, con quello che pago di affitto, non sono libera di farmi la doccia appena rientro dal lavoro? Adesso inizio a provare un certo timore anche quando metto in carica il cell o accendo il pc...

A volte temo che non riuscirò mai a trovare una casa mia e tra dieci anni, invece che col mutuo, ho paura di essere ancora alle prese con questo affitto (nel frattempo arrivato alle stelle se non  all'infinito e oltre per via degli aggiornamenti annuali).
Si sa, la vita è piena di imprevisti. ritagliati con la forbice del divario sociale che - guarda caso - si allarga. E, badate bene, so benissimo di non essere tra i più sfortunati, anzi a me va di lusso e benessere perché ho sì un affitto e spese impreviste, ma anche un lavoro che mi permette di fronteggiarle.

Ma se un povero stronzo, magari con bimbi a carico che vive in una casa in affitto, perde il lavoro che fa? Si ammazza? Minaccia la padrona di casa? 

Perché  la gggente col monei invece di  accumulare appartamenti e poi lamentarsi che la tassazione sugli affitti è esorbitante non apre qualche azienda sensata e non fa ripartire un minimo il Paese? Con tutti 'sti contratti di apprendistato, di apprensione (per chi lavora!) e di rapprendimento (tra un po' ci saranno apprendisti sessantenni che falsificheranno la carta d'identità....) ormai non credo che manco quello del costo del lavoro sia un problema davvero insormontabile.
Ok, stoppo la parentesi di critica sociale, fatemi concludere.
Lasciatemi solo dire che quando la gente prova a pisciarti in testa ci vorrebbe un ombrello boomerang.
E come faceva Catone il Censore fatemi chiudere il post con un'affermazione a piacere: la mia sodale Kgb sarà una sposa magnifica!



domenica 26 gennaio 2014

La fine del mondo e Prima dell'alba di Inio Asano: Finally, I'm a Mangalian citizen

Ormai, come sapete sono da mo' nel tunnel dei manga di Inio Asano.Quindi dico grazie, grazie e ancora grazie alla collana Planet Manga della Panini che ha ristampato quelle opere di Asano che non si trovavano più in fumetteria.

L'avesse fatto qualche mese fa magari mi sarei risparmiata di comprare su Ebay i due volumi di Solanin al doppio di prezzo di copertina...
Ma vabbè. 
Intanto, questa settimana mi sono tragugiata tutto La fine del mondo e Prima dell'alba, che oltre a contenere una serie di storie brevi raccoglie anche un paio di interventi di Sua Genialità Mangosa Asano. Una cosa che mi ha colpito è che davvero uno dei temi cari ad Asano è davvero la percezione che si ha di se stessi con il passare del tempo, in che misura l'identità si mantiene e in quale misura cambia. Siccome suppongo che non si sia capisca una beata minchia di quello che intendevo, provo a trascrivere le parole del sensei:

«Ho già ventisei anni. All'improvviso i capelli diventano bianchi, o cadono, o tutte e due le cose. Mi sento prosciugato. Ancora, quando avevo diciassette anni ero troppo cosciente, la mia visione del mondo era troppo complicata, ero pessimista (...) Dicevo ai miei amici - Io fra dieci anni muoio (...)-. Ero davvero un tipo di ragazzo autoconclusivo. E rendiamoci conto che fra dieci anni è il prossimo anno.(...) Fino ad adesso per me la mattina è stata un reset, una situazione di liberazione. Però ultimamente non la percepisco più così. La mattina arriva per tutti, democraticamente, ma non si ripete mai, non è mai uguale a quella precedente. Ho questa specie di idea. Se qualcuno mi chiede che cosa significhi, bé, non so cosa rispondere. Posso solo dire che è una bella sensazione. Se provassi a spiegarlo al me stesso diciassettenne, non ci crederebbe, forse sarebbe in disaccordo, o mi giudicherebbe un vecchio, o uno che è diventato marcio dentro. Ma va bene anche così. O, almeno, oggi credo che andrebbe bene anche così».

Magari anche l'argomentazione di Asano è un filo caotica, ma leggetevi la storia a pagina 185 e tutto vi apparirà meravigliosamente chiaro, luminoso. Comunque, non so voi, ma io anche, se sono incasinate, leggo quelle parole lì e, con gli occhi lucidi,  mi viene voglia di spalancare le mie braccine spastiche e gridare: «Inio, fratello mio!».
E poi c'è quel clima che una volta mi veniva da definire apocalittico, ma che adesso mi viene più da dire che è recessivo. Il licenziamento degli uomini di mezza età che si son sacrificati per l'azienda e la conseguente indolenza disincantata  dei giovani (in Domenica, pomeriggio, sei e mezzo). 
Al di là dei tocchi di colore esotici, nipponici io trovo tutto questo molto italiano, ed è per questo che mi trasmette e mi coinvolge così tanto.
La stessa amarezza e gli stessi brevissimi, salvifici momenti di grazia.I contratti part time e i ragazzi che non trovano lavoro. Le albe che continuano a sorgere, meravigliose, nonostante tutto.  


sabato 18 gennaio 2014

Oroscopo di Internazionale, hai fatto cilecca ma ti lovvo lo stesso!

Mi sa che 'sta settimana l'oroscopo del buon  Rob Brezny ha fatto una gaffe. Qui sotto lo screenshot del mio segno (Dai non rompete, è piccolo ma si legge!)


Storicamente, da buona spastica mezza paralitica, l'agilità e la destrezza manuale mi hanno fatto sempre difetto, anche nelle dita della mano più sana. Non le rimpiango mai come in questi giorni, che ho ripreso a far su e giù da metropolitane e tram. Son giornate di pioggia, dove i piedi scivolano sui pavimenti bagnati  dei mezzi e vorrei che almeno le mie mani avessero più presa sui sostegni. Anche perché, come saprete, cari lettori assoggettati alla mobilità urbana  gli altri passeggeri spintonano che è un piacere. Mi viene da farmi il segno della croce ogni volta che, barcollando, guadagno la scala mobile. Per raggiungere il mio posto di lavoro devo attraversare una strada trafficatissima, che credo sia l'unica in tutta Milano a non avere il semaforo per i pedoni.

Qualcuno sa a chi devo scrivere per farne mettere uno? 


Un compagno di lotta 
Una sera che mi sentivo un pochino affaticata, ho attraversato la strada in un momento di relativa calma e devo esser stata particolarmente lenta perché hanno iniziato a suonarmi come indemoniati. 
La conclusione, oltre a rilevare come diceva Gregory House, che «Una volta c’era più rispetto per gli handicappati» è che adesso salgo o scendo dal tram alla fermata prima, con Marco che mi accompagna e mi ripete la stessa identica frase con cui la madre mi perseguitava vent'anni fa, quando stavo fisicamente meglio di adesso e volevo andarmene un po' a zonzo per le strade del paesello come i miei coetanei normo.
Parole che mi hanno perseguitato per anni e che adesso ritornano, immutate minchia:





«Io non è che non mi fido i te. Io non mi fido degli altri».
Le stesse parole, testuali. Cazzo, Marco si sta trasformando in mia mamma?!

Vabbé che l'autosufficienza, mannaggia non l'ho mai conosciuta ma questo mica è colpa di qualcuno.
Per fortuna che qualche volta la tecnologia viene casualmente in aiuto. Per me gli smartphone sono un pelo una barriera architettonica, dal momento che sono grossi e complicati da maneggiare con una mano sola.

Non posso ancora permettermi l'iPhone che dicono sia un modello di maneggevolezza.
Grazie al cielo c'è Wathsupp. Non riesco a digitare bene sui microtasti dello schermo touchscreen però la registrazione dei messaggi vocali compensa alla grande. Così il tragitto sul tram, una volta guadagnato il posto a sedere, si è trasformato nel mio spazio dedicato alle public relations, sia all'andata che al ritorno. Faccio di quei monologhi interminabili e deliranti, che alle volte ho il sospetto che chi mi sente rida sotto i baffi. Certo la privacy ne risente un attimo, ma vuoi mettere il lato social?

sabato 11 gennaio 2014

Nuovo lavoro: il re è ancora fuso con la traveggola nell'occhio

Diciamolo sottovoce, quasi impercettibilmente: la prima settimana del nuovo lavoro è stata molto, tranquilla. Annusando l’aria che tira in ufficio non mi sembra che il gruppo dei colleghi sia dilaniato da competizioni e odi viscerali: questa è senza dubbio un’ottima cosa, mi sa che la vera sfida i miei nuovi vicini di scrivania se la giocano con Google Analytics.

 Aspetterò ancora un po’ prima di pronunciarmi in modo più deciso, ma la linea di condotta da seguire rimane quella di una cauta, operosa fiducia.

Nel frattempo  vi anticipo che il mio lavoro - al momento - continua a essere quello di scrivere per la rete, dopo la cara vecchia pagina Facebook per il programma di Tele Santi Numi e gli annunci per il sito di e-commerce.

Rimane però il problema costante degli errori: finché c’è post c’è refuso, mi sa soprattutto per chi deve digitare caratteri con una certa rapidità.

L'orrore ortografico
Cazzo, non ci credo che Balzac non abbia piazzato un paio di errori di ortografia a pagina per ogni romanzo della Commedia Umana, e manco Tolstoj in Guerra e Pace anche se credo che il russo scrivesse con filo più calma. Per non parlare di quando si scrive tutti orgasmati di qualcosa che appassiona e allora è via libera alle perversioni più intricate dell’anacoluto.





Cazzo, ma succede a tutti?
O capita solo a me?

Tipo che per quanto rileggi, ti sfugge sempre in pubblicazione  un errore malandrino e stupidissimo.
Cioè, a me mette in imbarazzo un casino: Vedo la pagliuzza nella pagina del vicino – tipo un doppio spazio – e non le minchiate che stanno nella mia: magari c’ho davvero la trave in un occhio.
E se son traviata dalla passione del contenuto, quando faccio il check  poi, va a finire che continuo a spalpognarlo, rimaneggiarlo, sistemarlo, infiocchettarlo con il risultato di infilarci dentro nuove fregnacce e i refusi si disperdono nei rimaneggiamenti come guerriglieri nella boscaglia.

Consigli?