domenica 22 luglio 2012

Frammenti di un discorso rancoroso


Sto iniziando a prendere in considerazione il potere espressivo dell’allegoria, della metafora e di tutte quelle figure retoriche  che  traslano il piano del realmente accaduto in quello del verosimile o del fantastico, di modo che nessuno possa accusare direttamente lo scrivente di alludere alla propria condizione personale.
Sto invecchiando: meno di una decina di anni fa trovavo questo atteggiamento vile&vigliacco.
Oggi – con la coda tra le gambe – mi trovo costretta a riconsiderare la questione.


Mi accorgo che da un paio di post a questa parte sto alludendo a situazioni e stati emotivi senza spiegare cause e circostanze a voi cari lettori che leggete questo blog senza essere informati sui fatti dalla mia viva voce – piuttosto pigolante e piagnucolosa ultimamente - .
Vi do un indizio: in amore tutto va bene.

 Hamtaro  in questo frame mi rappresenta efficacemente
La ragione della mia prostrazione umorale ed esistenziale non ha niente a che vedere con Marchionnolo. – Anche se ho il sospetto di starlo lentamente ma inesorabilmente esasperando– (Quando leggerà questo post mi rimprovererà con un buffetto e un sorriso malinconico  dicendo che non è assolutamente vero).

Continuo a pensare che dovrei leggere Kafka e a fantasticare di:

1 – Incatenarmi per protesta davanti a luoghi significativi dal punto di vista istituzionale
2 – Tagliarmi le vene per protesta davanti a luoghi significativi dal punto di vista istituzionale
3 – Acquistare una pagina del Corriere della sera per togliermi un paio di sassolini dalla Camper

E poi c’è un’altra cosa.
In 28 anni non mi era MAI capitato ed è una cosa che ho sempre pensato di non augurare nemmeno al mio peggior nemico. Era uno dei pochi veri motivi di orgoglio che avevo e ho perso anche quello.
Mi sono ritrovata a immaginare che una persona (?) si ritrovi esattamente nella mia condizione fisica e sottoposta alle mie stesse discriminazioni per vedere come si sta dall’altra parte della barricata.
Poi a un certo punto di questa fantasia mi accorgo della meschinità del mio pensiero e faccio appello a tutti i valori etici, cattolici, umani, cristiani e della grande spiritualità universale, alla forza d’animo delle anime nobili, alla bontà di Gesù, al distacco di Buddha, alla pazienza di Giobbe, ma il ritorno sulla retta via è arduo, faticoso e talvolta mi sento recalcitrante.

C’è chi mi ha visto piangere mentre singhiozzavo: “Sono stanca di essere handicappata”, e oscillo diecimila volte al minuto tra questo dolore cieco e la rabbia vermiglia che ha innescato tutte le rivoluzioni del mondo.
Ma le rivolte le fanno le masse e non i poveri stronzi singoli.
E questa consapevolezza innesca l’ennesima crisi di nervi.

Credo proprio di avere bisogno di aiuto ma non so proprio a chi rivolgermi per farmi dare una mano.

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