venerdì 2 maggio 2014

Dio di illusioni di Donna Tartt ovvero l'invidia del peana?

Sto leggendo Dio di Illusioni di Donna Tartt. Sì, lo so che avevo stroncato la seconda parte de Il Cardellino, ma la sua prosa mi è sembrata comunque magnifica, e poi ha vinto il Pulitzer. Quindi ho deciso di darle un'altra possibilità. Ora che ho quasi finito anche questo romanzo mi domando perché i giovanissimi protagonisti dei suoi libri sono sempre alcolisti o fattoni. Non tossici da strada, tutti ragazzini altoborghesi o almeno di classe media ma con una disinvoltura verso gli alcolici e le droghe che mi ha lasciato un filo perplessa.

In Dio di illusioni i personaggi non fanno in tempo a farsi passare la sbornia che sono tutti di nuovo ubriaco e ogni pagina è avvolta da quell'incertezza tremula da quarto o quinto bicchiere. Poi, nello specifico di Dio di illusioni, i sei protagonisti sono una specie di isolata confraternita fissata col greco e affascinata dal loro seducente docente. Tipo che chiacchierano in greco antico!

Mi ricordo che in quarta o quinta ginnasio ogn tanto mi sono chiesta anch'io come sarebbero suonati certe canzoni di Ligabue o dei Nirvana tradotte nella lingua di Omero ma non è che la cosa si sia spinta più in là di un paio di versi.

Come ne Il Cardellino l'ossessione per la cultura del vecchio continente è incarnata dal dipinto di Carel Fabritius, in Dio di illusioni tutto ruota intorno a Dioniso e alla sua lingua, venerata in modo ossessivo, quasi malsano. C'è un qualcosa di febbrile nelle pagine che mi ha ricordato Delitto e castigo (che è pure citato, ma senza  menzionare la fonte, ovvero il povero, vecchio Dostoevskij).
Sembra quasi che la Tartt e i suoi personaggi siano rosi da una specie di invidia del peana, tipo Europeo è bello, Americano fa schifo.  Ma faccio ancora fatica a metterne a fuoco il motivo. Strano che a volte i romanzi che consideriamo imperfetti ci ossessionino di più di quelli che schiaffiamo direttamente nell'empireo dei capolavori.

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