Dopo anni di attesa sto finalmente leggendo Fabrizio Lupo di Carlo Coccioli.
E’ un libro curioso, acerbo e prorompente insieme.
Non ha uno stile perfetto come Davide e nemmeno ricco come Il
cielo e la terra ( a cui si fa riferimento spesso) però colpisce la sua
natura palpitante.
Si percepisce tutta l’urgenza dello scrittore di articolare
– all’alba del dopoguerra – un dialogo tra omosessualità e cultura cattolica.
E’ un peccato che le intuizioni di Coccioli siano state cancellate così.
Da cattolica mi ha sempre messo un po’ a disagio la chiusura
verso l’omosessualità , che – come spiega Coccioli, nel suo caso e in quello di
milioni di persone – è una condizione e non una scelta.
Ho amici gay che vivono la loro natura in maniera tutt’altro
che promiscua, in modo pacato e assolutamente normale, quasi banale nella propria
quotidianità. L’aspirazione dell’autore a essere inglobato in un ordine
invece che essere additato come portatore di disordine mantiene intatta tutta
la sua forza emotiva a distanza di sessant’anni.
La prima edizione di Fabrizio Lupo è uscita nel 1952 –
badate bene, in Francia – mentre in Italia
è stata pubblicata nel 1978.
Da allora tante cose sono cambiate, per il mondo omossessuale.
Ma dal punto di vista spirituale poco o niente (cfr. l’affaire Boffo).
Presumo che vita religiosa dell’omossessuale cattolico
continui ad essere quella di chi pecca furtivamente la sera e viene
puntualmente assolto la mattina, a condizione che non si innamori e viva nel
disordine.
E anche dal punto di vista del sentire comune come ci ricorda Povia con la sua Luca era Gay («C’era chi diceva : - É naturale/ Io leggevo Freud non la pensava uguale -»).
E anche dal punto di vista del sentire comune come ci ricorda Povia con la sua Luca era Gay («C’era chi diceva : - É naturale/ Io leggevo Freud non la pensava uguale -»).
Siamo forse addirittura regrediti rispetto al desiderio del protagonista di far
capire al prossimo:
«la nobiltà la dignità l”’ordine” di un amore come il mio. La
fattibilità, la credibilità di un amore come il mio. La sua bellezza, la sua
autenticità, la sua gloria. La sua verità anche davanti a Dio» (p.44).
Del resto si aggiunge poco dopo: «Non mi sono scelto io, o,
se preferisci giriamo la frase e diciamo che io non mi sono scelto: io mi sono
limitato a ritrovarmi: il responsabile è Dio» (p.48).
Sarà anche per questo bel clima nostrano che uno scrittore con
idee così potenti sia potuto sprofondare
nell’oblio.
E mentre continuo a non capire la rimozione che è stata
fatta di questo autore e continuo a interrogarmi vi segnalo il sito di Carlo Coccioli curato dal
nipote Marco che si prodiga per la riscoperta dell’opera coccioliana con tanto
di minuscola casa editrice annessa. Buon
lavoro!
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