sabato 20 ottobre 2012

Affinità e divergenze tra la massa, lo Stato e noi (del superamento della disabilità)



Rileggo Vita Standard di un venditore provvisorio di collant .
Qualcuno diceva che da giovani si legge e da adulti si rilegge, ecco quindi  che nel blog risuona un inequivocabile segnale di adultità.

Ma più che la mia (improbabile), mi sorprende la maturità della prosa busiana, che assomiglia incredibilmente a preveggenza (la prima edizione è del 1985). A me lascia sempre incantata la chirurgica delicatezza con cui Busi affronta certi temi.
A rileggere quelle pagine lì colgo meglio la struttura narrativa, i rimandi interni, i parallelismi tra personaggi, i ribaltamenti: all’imprenditore micro borghese che sfrutta le babau deformi per la sua industra nasce la figlia mongoloide. E da bravo cattobigotto vorrebbe farla fuori.

Qualche giorno fa girava voce che lo Stato, in attesa di poter tagliare la testa ai disabili stava tagliando tutto il resto. Poi il Governo ha fatto marcia indietro, ma la cosa non mi sorprende.
Non è per cinismo, è che le persone fanno fatica a capire quanta fatica ci mette un povero stronzo handicappato ad andare avanti. Senza – beninteso – voler affermare che per i poveri stronzi normodotati la vita  sia rose e fiori.

Ognuno di noi ha un sacco di problemi. E il sacco di problemi personali un handicap ambulante se lo tira dietro in un corpo provato dalla vita, in molti casi già da embrione.
Da questo corpo tarato derivano 2 ordini di problemi:

1) logistici
2) culturali

Quando sono sotto la doccia e chiamo ‘Mooreee, non è per  un preludio di un gocciolante  momento di passione che chiamo Marco.
E’ per aiutarmi a uscire. Perché certi giorni ce la faccio, certi altri no.
Non è una cosa facile da spiattellare in giro. E’ la tipica situazione che preferisco rimuovere, come il  fatto che non riesco a tagliarmi la carne nel piatto.

Poi  con un deflagrante effetto domino, da tutti questi impedimenti fisici  deriva un’infinita serie di pregiudizi culturali .

Spesso si tratta di veri e propri voli pindarici rispetto alle questioni strettamente pratiche  che li hanno generati. Ad esempio il fatto che da handicappati non si possa lavorare, o che il beato handicappato (in realtà falso ebete) non possa comprendere tutta la galassia di altri dilemmi che affligge il resto del mondo, ma che in realtà condizionano anche lui. Avere problemi di salute non ti esonera da tutti gli altri, ma questo tantissima gente non lo sa.

E credo che non lo sappia nemmeno lo Stato italiano, ma - lo ripeto - non mi sorprende perché un’istituzione è espressione di quello che un paese è. La beata ignoranza dello Stato  non è aggressiva, direi  piuttosto che sembra una quieta e pigra indolenza, condita da una buona dose di auto-indulgenza.

 Mettersi nei panni altrui è sempre imbarazzante, perché farlo per soggetti così poco appetitosi dal punto di vista economico, relazionale, sessuale e elettorale? Mah, boh, umpf.

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