sabato 7 aprile 2012

Ho giù la voce

Mi sembra di aver perso il mio stile, quando scrivo e mi dispiace.
Non che fosse uno stile perfetto, anzi ma era il mio timbro sul quale lavorare. Adesso boh, ho sempre pura di essere troppo egocentrica, oppure troppo affettatamente distaccata, troppo spontanea o troppo studiata.
In parallelo nelle mie faccende vis à vis  invece mi sembra di esprimermi in modo sempre più deciso, nitido e chiaro.
Chiedo ai passeggeri in metro se possono scalare di un posto  così posso attaccarmi al sostegno per alzarmi. In ufficio addirittura mi è capitato di  dire – adesso basta – e di mettere i puntini sulle i e di discutere (!) addirittura con i responsabili.

Io che quando 3 anni fa ho iniziato a lavorare il mio motto era testa bassa e lavorare e levarsi senza batter ciglio le frecciatine dei colleghi di dosso in modalità non vedo / non sento / non parlo.
Sono stata cresciuta con il monito Nella vita sopporta e rimuovi e un cambio di atteggiamento è arduo, forse addirittura azzardato.
Ho paura di sembrare polemica.
Mi intimorisce il pensiero di apparire naif.
Ma soprattutto ho il terrore di fare l’handicappata furbetta che approfitta del suo status.
Ne parlavo giusto ieri con un’amica.
Le ho detto: «Io mi faccio un esame di coscienza, rigoroso. Se arrivata in fondo mi sembra che sia giusto parlare allora lo faccio».
Ma parlare equivale ad assolversi o almeno a giustificarsi.
E con l’autoassoluzione a me viene il dubbio di incappare :

a) nella polemica
b) nell’ingenuità utopica & patetica
c) nella scaltrezza degli approfittatori

Cercare di gestire questo passaggio con equilibrio, misura e il minor numero di paranoie possibili è davvero complicato. Mi prosciuga. E l’unico vero, dolce conforto sono le parole di Marco quando la sera mi rimbocca le coperte e mi dice: «Adesso dormi, non pensarci e riposati». Almeno quaggiù qualcuno mi ama.

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