Mi sono ripresa dall’influenza e tutto trotta apparentemente
tranquillo.
La settimana scorsa l’Alterega e Marco mi hanno infilato la
pulce nell’orecchio: prova a ripubblicare la versione ampliata del tuo blog,
con un buon editing.
Di autopubblicarmi non mi passa manco per l’anticamera a gas
del cervello.
Figurati se pago per stampare le minchiate che scrivo quando
ho i soldi contati per comprare quelle che leggo. Già mi sento cagna a
balbettare la frustrazione che provo: son sicura che mi sentirei molto meglio
se invece di scodinzolarci in giro dicessi le cose chiare e tonde come le sento
– piuttosto puntute in verità – anche perché ormai è quasi un anno che me le
tiro dietro, ma per il momento passo parola.
La settimana scorsa ho letto Suicidi dovuti di Busi.
Sarò sacrilega ma il libro di Busi conferma un pensiero che
vado elaborando da un po’: un grande mistero della fede è il fatto che molta
gente – me compresa - continui a credere
malgrado la nota stonata di paternalismo e il ribollire di ipocrisia che
connotano gli ambienti clericali.
Ma ho studiato abbastanza teologia per sapere che non si può
essere cattolici senza aderire alla Chiesa. Io sono tenacemente attaccata alla
mia vita spirituale, - come una cozza allo scoglio – ma gli atteggiamenti adottati – quelli che Aldo Busi descrive in modo così
preciso nelle sue pagine – così come li ho percepite mi lasciano proprio
perplessa.
Come può un fervente ed effervescente cattolico chiudere gli
occhi su chi fa i proclami dal pulpito mediatico e poi sorvolare in scioltezza
su alcuni insegnamenti fondamentali?
Nessun commento:
Posta un commento