domenica 20 ottobre 2013

Tutta in fermento (lattico)

E' uscita una raccolta di racconti Eccoci qui, - che prima o poi comprerò in ebook - della scrittrice americana Dorothy Parker. Dorothy Parker che, lo ricordiamo, scriveva le didascalie per le illustrazioni di Vogue.  Non l'ho ancora preso perché ho già sottomano una raccolta di racconti della Munro da leggere, e a me difficilmente i racconti esaltano, a meno che non siano stati scritti da qualcuno di davvero superlativo.

In questi giorni, all'insegna degli attacchi d'ansia  e di ipocondria, ho almeno avuto la fortuna di imbattermi in La felicità è di questo mondo, di David Lodge, uno di quegli autori che andrei ad abbracciare di corsa: Laurence Passmore il protagonista del romanzo soffre di depressione e panico, e lo scrittore inglese lo descrive in modo così acuto, ironico ma allo stesso tempo pieno di comprensione ed empatia, che ti fa venire voglia di tirar su il telefono per fare due chiacchiere con lui.

Sono sotto il tiro dello stress: mi domando perchè si faccia tutto questo gran parlare dell'analfabetismo di ritorno degli italiani e delle loro scarse capacità computazionali (la sottoscritta per prima, eh).

La vita è davvero una partita a Street Fighter e le competenze intellettuali, per come la sto vedendo ultimamente servono a 'ngazz. Sarebbe più utile andare a lezione dai Sioux dei film western, per imparare come difendersi dalla pioggia di frecciatine che cadono addosso a una ogni giorno, provocazioni e punzecchiature che se fossero di vespe si sarebbe già in shock anafilattico da mo'.
Fino a un po' di tempo fa ero una di quelle  persone che provava a attenersi al monito «sia il vostro parlare sì, sì; no, no», ma sto un attimo rampando giù dal pero e dal Discorso della Montagna ,  dal momento che sto faticando a star dietro all'altissimo alpinismo morale del buon Gesù. Il mio parlare ultimamente è boh, boh, senza contare che negli ultimi tempi  è capitato anche a me di tirare un paio di staffilate verbali a tradimento, dissimulata  da un sorriso radioso, cosa che ho sempre evitato di fare, dal momento che non sopporto quando lo fanno a me. E questo accentua i miei sensi di colpa, che a loro volta alimentano i miei stati d'ansia e il mio status escrementizio, così mi sento una merda 24/7.

Allora, ricapitoliamo: la gentilezza con gli altri non funziona perché agli occhi altrui, se ti prendi il lusso di essere gentile, vuol dire che non hai abbastanza casini tuoi che ti rendono aggressiva, e se non li hai, te li facciamo venire noi.  Manco il metodo Nonvedononsentonondicoucazzo funziona. Passi per studipidiota e poi la gente si sente autorizzata allo sfottò libero, che tanto non te ne accorgi.
Ancora, se invece rispondi per le rime a una provocazione ti ritrovi ad avere il marchio del tipo ipersuscettibile e aggressivo, che viene radipamente isolato dal branco. L'unica strategia efficace  è rispondere in modo soave, scaltro e sorridente, in modo che l'interlocutore non si accorga che stai rispondendo per le rime, con sagacia e un filo di sarcasmo, per giunta.

Però, se è vero che l'intestino è un secondo cervello, credo dipenda da questo la diarrea dell'ultimo periodo, a meno che non sia un tumore o chissà cos'altro; la flora batterica si è trasformata in una gorgogliante distesa di piante carnivore che, come i cattivi pensieri - non si lascia estirpare facilmente.


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