domenica 3 novembre 2013

Sogno o son destra?

Destra e sinistra in questo Paese sono come due gemelli siamesi, magari non proprio la stessa cosa, ma si fa un  pelo fatica a capire dove finisce uno e dove comincia l’altro.

E questa cosa non è che l’hai mutuata da quel guitto furbetto di Grillo, ma ne convieni durante un summit bipartisan in pizzeria, con una tua amica della destra liberale ti coglie  un attimo il senso di smarrimento.
Certo, non la crisi esistenziale che avrebbe  steso forse un trentenne di Democrazia Proletaria negli anni Settanta, quando il personale era ancora politico (oggi, per inciso, il personale son Gran Cazzi Tuoi e di politico non è rimasto più niente), ma un disorientamento comunque bello profondo; tipo che oggi magari voterei ancora per Vendola, ma senza lo stesso entusiasmo di cinque anni fa, per dire: e penso al futuro dell’Italia mi sembra già sbiadito, e forse era così che ci sentiva in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale. Poi lì in Krautonia è arrivato l’Adolfo Hitler, e con un colpo di scoreggia ha gasato tutti quelli che considerava diversamente tedeschi e se dovesse succedere qualcosa del genere anche in Italia noi gente sifola siamo in cima alla lista.


Ho scoperto che i trentenni di oggi non potranno nemmeno godersi l’alloro poetico di immortalare la crisi sociale in un capolavoro letterario.
Ci ha già pensato Israel J. Singer nel 1937 (!),  pubblicando I fratelli Ashkenazi. Grazie al Cielo ero seduta quando ho letto della routine di Tevyeh a pagina 197, altrimenti per lo sbalordimento sarei stincata per terra.
Davvero non  mi sembra che ci sia altro da aggiungere, sulla quotidianità del capitalismo, alle parole di questo autore yiddish, fratello del nobel Isaac. Settant’anni dopo, nulla si è evoluto, nemmeno nel passaggio dalla produzione materiale a quella immateriale, dalla produzione di fazzoletti a quella di appuntamenti telefonici.


In tutto questo la mia passione per la letteratura yiddish diventa sempre più bruciante, e se credessi nella reincarnazione giurerei che in una vita precedente vivevo in uno shlet polacco dove  ogni venerdì si attendeva il sorgere delle stelle che inauguravano il sabato e i chassidim danzavano inebriati nel tramonto infuocato, in viaggio verso il loro rabbino.

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