sabato 29 settembre 2012

L'audacia è la virtù dei colti?



Tra poce ore mi aspetta la Infinite Summer Night.
Entro 21 corrente mese avrei dovuto finire Infinite Jest, ma l’ho abbandonato a metà,  per la sua natura di amplificatore di disagio. Quest’estate ne ho avuto troppe rigorose e pindariche stati di malessere per accollarmi anche quelli dei personaggi.
Ebbene sì, ho gettato la spugna ma devo comunque finirlo se voglio scrivere l’articolo su Boo Incandenza per la rubrica su Letteratura & Disabilità che La Vegana mi ha proposto di tenere su Finzioni.
Ecco, Incandenza sarebbe senza dubbio un punto fermo, probabilmente di arrivo.
Poi sicuramente i personaggi di Irvine Welsh, magari per iniziare.
Anche Busi va sviscerato a dovere: in Vita standard di un venditore provvisorio di collant fanno capolino i personaggi della poliomielitica Santina Tartaglione e tutta l’intricatissima vicenda di Georgina Washington.
Se ne scrivo, si impone un’impegnativa opera di rilettura.
Poi mi viene in mente che tanti anni fa ho letto pure Achille piè veloce di Benni che, mi ricordo, grondava di feroce malinconia.
Ma in mezzo c’ è un abisso di dubbi.
Solo Letteratura con la L maiuscola o anche narrativa di consumo?
Non ho mai letto i libri che hanno ispirato dei bei film come lo Scafandro e la Farfalla o Quasi amici – che ho visto la scorsa settimana e che mi ha fatto ridere tantissimo .
Poi ci sono i 2 bestsellers italiani freschi freschi: Zigulì e Se ti abbraccio non avere paura.
L’editoria pullula di pubblicazioni di handicappati, che sono forti ed emotivamente coinvolgenti, poiché la materia è sempre un argomento bello peso.
Ma basta il valore di testimonianza ( «Ho molto sofferto e quindi ho il diritto di parlare» Artaud©) a dare qualità letteraria – estetica oltre che etica - alla faccenda ?
Chi mi legge sa che è dal 2003 che snervo su questo punto.
Parlarne, come parlarne?
Temo l’epic fail, e su un tema così delicato il rischio è sempre che l’epic si trasformi in pathetic.

A proposito di vicissitudini letterarie e scivolamenti dall’epico al patetico sto leggendo Il bottone di Puškin di Serena Vitale, una di quelle ricostruzioni storiche così avvincenti da sembrare un romanzo.
Sapevo che il poeta era morto in un duello, sapevo anche che il movente era la gelosia, ma dietro si nasconde una figura molto più complessa di un semplice triangolo amoroso, una mostruosità sentimentale che lascia davvero esterrefatti: un bel cavaliere francese fa la corte alla bellissima e ingenua moglie del poeta – che forse – contemporaneamente se la fa con una delle due cognate e concede l’altra in sposa al francese, che ci ha provato con la consorte.
Come se non bastasse, lo sposo ha un legame ambiguo con il padre adottivo che però si presta a fare da intermediario tra il figlio e la Puškina.
 Chissà se Puškin avrebbe voluto che tutto ciò venisse tramandato ai posteri? Pare che sulle ragioni del duello la critica russa ci sia spaccata la testa. Ma oltre a questo il libro ha il merito di raccontare in modo davvero suggestivo la personalità dello scrittore russo, emotivo, impulsivo e capace di rotolare giù dalle vette del sublime agli abissi della paranoia in tempo record.


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